Gallaccini, Teofilo, Perigonia, o vero degli angoli, ca. 1590-1598

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              <s>
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              non possono esser se non corporee terminate da qualche maniera di figura: overo appartenenti a corpi in quanto son termine di essi, o delle superficie loro; onde necessariamente bisogna che habbiano Angoli e sotto essi apparischino. </s>
              <s>Perciochè (sì come il Padre Ignatio Danti nella Prospettiva d’Euclide, sopra la 8a suppositione di esse) tutte le cose visibili vedersi sotto qualche angolo, poiché la figura compresa da’ raggi visuali è un conio la cui ponta si ferma nel centro dell’occhio, nella quale i medesimi raggi formano angoli diversi secondo la diversità delle cose vedute. </s>
              <s>Onde sì come l’atto del vedere de’ nostri occhij è cosa reale, così ‘l conio formato da’ raggi visuali sarà reale; perciochè il vedere stesso non si forma se non col mezzo del detto conio, la cui base è l’obbietto e ‘l cui termine è ‘l centro dell’humor cristallino dell’occhio, amendue cose reali; di maniera che essendo reale il conio non può non esser reale l’angolo da esso formato. </s>
              <s>Non starò hora a cercar se la visione si faccia per ricevimento di specie, come vogliono i Peripatetici: o per mandar fuore i raggi visuali, come piace a’ Platonici. perciochè questo luogo non è proportionato a tali questioni; onde le lassarò trattare a’ Filosofi, mentre delle cose dell’anima discorrono. </s>
              <s>Mi bastarà bene haverne accennato in quanto a quella parte che matematicamente si può considerare per pruovar la realità dell’Angolo. </s>
              <s>Da queste cose anchora si può ritrarre che l’Angolo sia cosa reale; che si ritruova fra i dieci generi delle cose detti da’ Filosofi “Predicamenti”. Onde Proclo sopra Euclide mostra che de’ Filosofi antichi altri posero l’angolo nel predicamento della relatione altri nella quantità, ed altri nella qualità; in qual
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              unque sia di questi generi, e cagione che inferiamo che sia cosa reale. </s>
              <s>Ma vediamo hora se l’Angolo si possa dir cosa immaginaria. </s>
              <s>Le cose immaginarie sono di due ragioni; perciochè o sono puramente immaginarie o impuramente. </s>
              <s>Le impuramente immaginarie son quelle che parte son reali e parte immaginate. </s>
              <s>La parte reale si è ‘l primo concetto che è fondamento e origine della immaginatione, cioè del secondo concetto: overo quella simiglianza che ha la immaginatione della cosa con la cosa reale, o con quella parte che è reale. </s>
              <s>Perciochè (come dice Temistio nel 3° dell’Anima, cap. 13°) l’immaginatione è un certo vestigio del senso; perciochè si forma dalle cose sensate. </s>
              <s>E però la cosa immaginaria, non puramente tale è un certo vestigio della cosa sensata. </s>
              <s>Ma la parte immaginaria si è quella cosa che è similitudine del secondo concetto separato in tutto dalla cosa reale. </s>
              <s>Le puramente immaginarie son quelle cose, che l’Immaginativa per se stessa si è fabbricate senza haverne alcuna simiglianza nelle cose sensate, e per dirla più apertamente sono le stesse fintioni e le stesse chimere e capricci che fuor della Immaginativa non hanno essere. </s>
              <s>Però Alesandro Afrodiseo sopra ‘l primo libro dell’Anima, nel cap. 2°, divise le immaginationi in vere e false. </s>
              <s>Quasi dir volesse che le pure immaginationi fosser false e le non pure vere. </s>
              <s>Le pure immaginationi, per Gio. </s>
              <s>Grammatico, nel 3° dell’Anima, parte 16a, son quelle che fingono le forme: e le non pure quelle che ricevono le forme, cioè le specie e simiglianze dalle cose sensate e reali. </s>
              <s>Così le cose immaginarie, che sono effetti dell’immaginatione, saranno o vere o false, o finte o reali, o pura fintione, o simiglianza di cosa sensata e reale. </s>
              <s>Hora per applicar tutto questo discorso al proposito nostro diremo </s>
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