Zanotti, Francesco Maria, Della forza de' corpi che chiamano viva libri tre, 1752

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11vii gno di qualche avviſo. Perciocchè molti di loro ſi
ſdegnano
di fermarſi nelle coſe, che eſſi ſtimano fa-
cili
, e vorrebbono entrar ſubito nelle più alte, e
più
recondite;
i quali però ſe hanno bene inteſo il
titolo
, che abbiamo dato al libro, do vrebbono anche
avere
inteſo, che egli è fatto per li meno fretto-
loſi
, e non per loro.
I più poi ſono cosi impazien-
ti
, che vorrebbono in ogni coſa udir ſubito la pro-
poſizione
, che vuol dimoſtrarſi, e venir toſto alla
dimoſtrazione
, ne ſoffrono verun’ indugio;
con che
ſi
allontanano dal ſermon comune e familiare, che
ſi
uſa tutto di nelle civili compagnie, dove non è
alcuno
mai, che argomenti con tanta fretta.
E tan-
to
più banno in odio ogni dimora, e ſi noiano del-
le
interrogazioni, e delle ampliazioni, e dei proe-
mj
;
ſe venga loro ſoſpetto, che ſieno fatti con qual-
che
ſtudio, e v’ abbia alcuna parte l’ eloquenza.
E queſti ancora poſſono rimaner ſi di leggere la pre-
ſente
operetta, a cui l’ autore, ſcrivendola, non
per
darla alle ſtampe, ma per ingannare il tempo
et
alleviar le ſue noje, ha voluto dar forma di
dialogo
;
la qual forma l’ ha aſtretto a ſeguire
una
maniera alquanto ampia di dire, che i più
dei
matematici non ſoffrono;
ma egli ha creduto
di
dover più toſto provedere a ſe ſteſſo, che a lo-
ro
.
Ne io mi ſarei avviſato di farla imprimere,
ſe
non aveſſi creduto, che foſſero ancor molti aſſai
più
pazienti, ai quali gli ornamenti del dialogo
non
diſpiacerebbono.
E certo io non ſo, per qual
ragione
debbano diſpiacere a veruno;
perchè ſe

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