Zanotti, Francesco Maria, Della forza de' corpi che chiamano viva libri tre, 1752

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12 viii
13 ix
14 x
15 xi
16 xii
17 xiii
18 xiv
19 xv
20 xvi
21 xvii
22 xviii
23 xix
24 xx
25 1
26 2
27 3
28 4
29 5
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31 7
32 8
33 9
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20xvi done fparſa l’ orazione, maſſimamente ſe ſi faccia
per
modo, che non moſtriſi troppo ſtudio, le acqui-
ſtano
quell’ odore di urbanità, che tanto piacque a
Cicerone
.
Ora quelli, che non vogliono ſcrivere
fiorentino
, dicendo, che baſta loro di ſcrivere ita-
liano
, io voglio, che ſappiano in primo luogo, che,
così
ſcrivendo, non poßon già uſare qualunque vo-
ce
o forma lor piaccia, ma debbono, ſe voglion
pur
ſcrivere leggiadramente, raccoglier le più bel-
le
, e le più proprie di tutte le lingue dell’ Ita-
lia
;
con che ſi addoſſano non guari minor pe-
ſo
, che ſe voleſſero ſcrivere fiorentino.
Ma al-
cuni
diranno, queſta fatica eſſer ſoverchia;
percioc-
chè
i rettori inſegnano, potere introdurſi vocaboli
foreſtieri
e nuovi;
e doverſi arriccbir la lingua;
per la qual coſa non hanno poi eſſi difficoltà veru-
na
di dir tutto quello, che banno udito in qual-
ſivoglia
luogo o compagnia ſenza giudizio, e ſen-
za
ſcelta niuna.
Nel che ſi ingannano grandemen-
te
.
Perciocchè l’ introdurre nuove voci non è, ne
può
eſſer opera d’ un uomo ſolo, ne manco d’ al-
cuni
pochi;
ricercandoviſi la conſuetudine, che ſi for-
ma
da molti e in lungo tempo;
concioſiacoſache
un’
vocabolo allora ſolo può dirſi introdotto in una
lingua
, quando le orecchie delle perſone, che guſta-
no
quella tal lingua, hanno cominciato a ricever-
lo
volentieri, e con piacere;
il che non può farſi
ſe
non per un lungo uſo.
E ſe così non foſſe, po-
trebbe
ognuno, uſando qualſiſia vocabolo una vol-
ta
ſola, pretendere, che egli foſſe divenuto

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