Zanotti, Francesco Maria, Della forza de' corpi che chiamano viva libri tre, 1752

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251227LIBRO II. ne avvertono, che ſe furono tanto timidi nei prin-
cipj, conveniva loro eſſer più timidi nelle conſe-
guenze.
Riſe quivi il Signor D. Serao, etio non
nego, diſſe, che queſto errore non ſia oggidì di
molti, i quali come giungono al fine dellor diſcor-
ſo, più non ſi ricordano la debolezza di quei prin-
cipj, ſopra cui lo fondarono, e vogliono ſpacciar
per ſicura una conſeguenza, che hanno tratta da.
principj non ſicuri. Non cosi però parmi, che fac-
cia Giovanni Bernulli in quel ſuo nobiliſſimo ragio-
namento, la dove dalla continuità della natura.

paſſa a dimoſtrare, non dover eſſer nel mondo al-
cun corpo duriſſimo, e ne leva via per fino la ſup-
poſizione.
Voi ſapete che l’ accademia di Parigi,
ſupponendo i corpi duriſſimi, avea chieſto, che ſi
cercaſſero quelle leggi del moto, che più loro ſi
conveniſſero.
Riſpoſe Bernulli, che non potean.
quelli ſupporſi, eſſendo contrarj alla continuità.

Io non mi ricordo bene le ſue ragioni;
ma ſe do-
veſſe argomentarſi per via dell’ autorità, et io vo-
leſſi valermi di quella di un così grand’ uomo, che
ha creduto non poter ſupporſi in verun modo i
corpi duriſſimi, ſolo perchè alla continuità ſi op-
pongono;
quale autorità mi opporreſte voi? Quel-
la, riſpoſi, dell’ accademia di Parigi;
che pur gli
aveva ſuppoſti, e non doveva aver avuto tanta.

paura di contravvenire alla continuità.
Ma noi, cre-
do, non vogliam moverci ne per l’ una autorità
ne per l’ altra, come che ſieno e l’ una e l’ altra.

graviſſme.
Sì, diſse il Signor D. Serao, ma

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