Zanotti, Francesco Maria, Della forza de' corpi che chiamano viva libri tre, 1752

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3612DELLA FORZA DE’ CORPI gora, et avendola poſcia il tempo ſeppellita nell’
oblivione, eſſer riſorta in Leibnizio.
Io non
ſo, riſpoſi;
ben mi piace che voi tocchia-
te ora una quiſtion nobiliſſima, e da chiariſ-
ſimi, e ſottiliſſimi ingegni per tanto tempo agi-
tata;
la qual non tocchereſte, ſe non l’ aveſte
apparata.
Anzi non ne ſo io nulla, diſſe il Signor
Marcheſe;
e piacerebbemi, che Pitagora non ne
aveſſe ſaputo nulla egli pure;
che così ſarei Pi-
tagorico almeno in queſto.
Ma fuori le burle, io
mi ricordo, che eſſendo in Malega, venutovi da
Ceuta, dove io avea accompagnato mio padre,
che era paſſato a quella guerra contro Mori, tro-
vai quivi un ingegnere molto dotto, il quale
per alquanti meſi mi ſpiegò geometria e meccani-
ca, e mi parlò più volte della quiſtione della for-
za viva;
e tanto era Leibniziano, che ſi maravi-
gliava, che poteſſe alcuno non eſſerlo.
Ultima-
mente ne ho udito diſputar’ aſſai il Signor D.
Lui-
gi Capece in Palermo;
il quale mi fece anche leg-
gere quello, che voi ne avete ſpiegato ne Comen-
tarj della voſtra accademia, inſieme con altri
ſcritti, i quali però poterono invogliarmi più
toſto della quiſtione, che inſegnarlami;
et egli
ſteſſo ſi doleva, che voi non foſte abbaſtanza Car-
teſiano, e diſiderava talvolta di intender meglio,
qual foſſe la voſtra vera opinione.
Chi ſa, diſſi
io allora, ſe io ne ho alcuna vera?
ma pure che
è a lui et a voi di ſapere, qual ſia la mia opinio-
ne?
egli baſta bene, che eſaminando le

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