Caverni, Raffaello, Storia del metodo sperimentale in Italia, 1891-1900

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              tempo, ed è tanta la sobrietà dell'erudizione, tanta l'arte colla quale
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              sa nuotar fuori del gazzabuglio delle opinioni e sollevarsi alto sulla
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              nebbia uggiosa de'placiti delle scuole, tanta la lucidezza delle ar­
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              gomentazioni e la oppurtunità delle esperienze, che sembra essere
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              stata scritta quell'opera dopo i tempi di Galileo. </s>
              <s>Se si ripensa anzi
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              a quella generosa e temperata franchezza, colla quale egli emenda
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              gli errori, in che incorsero Aristotile e Galeno e lo stesso Vesalio,
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              si crederà che l'Autore non iscrivesse, come Galileo stesso, in tempi
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              di controversie, ma nella pacifica dominazione del Metodo speri­
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              mentale, tanto è serena la mente di Realdo Colombo nello stesso
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              fervoroso zelo dell'eloquente parola. </s>
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              <s>Il primo libro anatomico del Cremonese tratta delle ossa. </s>
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              ivi diligentemente attende a descrivere le
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              epifisi,
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              dell'utilità delle
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              quali, egli dice, Galeno, d'altra parte solertissimo investigatore
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              della Natura, non scrisse, e ciò che più fa meraviglia, non scrisse
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              nemmeno il Vesalio,
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              quippe qui ardiret cupiditate increbili in
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              Galenum invehendi et eius errores adnotandi.
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              (Da re anat. </s>
              <s>edit. </s>
              <s>
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              cit. </s>
              <s>pag. </s>
              <s>4). Nel divisare, delle ossa una classificazione veramente
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              scientifica, dice di non aver seguito gli esempii nè di Galeno an­
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              tico nè del Vesalio moderno, intorno a che tanto vivo sente il
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              dovere di non dilungarsi capricciosamente dall'insegnamento dei
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              primi maestri, che vuol, del fatto, mostrar di averne la sua buona
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              ragione. “ Nam licet Galenum, tamquam numen veneremur, Vesa­
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              lioque in dissectionis arte plurimum tribuamus, ubi cum rei na­
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              tura consentiunt: tamen cum aliquando videamus rem aliter multo
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              se habere ac ipsi descripserint, veritas eadem, cui magis addicti
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              sumus, nos coegit ab illis interdum recedere ” (ibi, pag. </s>
              <s>10). </s>
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              <s>Memoranda sentenza sulla bocca di uno scienziato, che scrive
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              nella prima metà del secolo XVI: io seguo, nell'investigare i fatti
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              della Natura, la verità, non il maestro, e sia pure un Galeno, un
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              Vesalio. </s>
              <s>E conforme a una tal professione di fede, il Colombo os­
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              serva i fatti, e come gli si rappresentano agli occhi, fedelmente
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              così gli descrive, facendo tratto tratto le maraviglie che quello stesso
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              gran Vesalio, il quale non la finisce mai contro Galeno, per aver
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              descritta l'anatomia non dell'uomo, ma delle scimmie, egli, il cen­
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              sore ardente, l'obiurgatore ingiurioso sia bene spesso caduto negli
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              errori stessi rinfacciati a Galeno. </s>
              <s>Questa specie di recriminazione
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              occorre al Nostro di farla a ogni piè sospinto, ma specialmente a
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              proposito de'muscoli della laringa e dell'occhio. </s>
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              <s>
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              De oculis
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              è il soggetto proprio del X libro, intorno a che è </s>
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