Zanotti, Francesco Maria, Della forza de' corpi che chiamano viva libri tre, 1752

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21 xvii
22 xviii
23 xix
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12197LIBRO I. non il comodo loro, ma una certa belliſſima per-
fezione
della natura, che mal potrebbe da eſſa
ſepararſi
.
E parmi, che abbiano fatto bene a ſta-
bilirne
come un principio, per cui proponendoſi
più
ſiſtemi, che tendano a un medeſimo ſine, quel-
lo
ſempre ſtimino eſſer vero, et abbraccino, che
è
più ſpedito, e più facile, e più ſemplice.
E il
far
queſto, diſs’ io, come vedete, è molto como-
do
ai filoſofi.
Anzi è, diſſe il Signor D. Serao,
convenientiſſimo
alla ſapienza della natura.
Io non
nego
, diſſi allora, che queſta ſemplicità, che voi
dite
, ſia molto bella, e degna della natura;
e con-
feſſo
che gli argomenti, che da eſſa ſi traggono,
hanno
qualche poco di probabilità;
dico bene, che
non
sforzano l’ intelletto, ma lo luſingano ſolo,
e
l’ invitano, e ſono da abbracciarſi, come tutte
le
altre ragioni probabili, con aſſai timore.
E ſe a
quelle
ragioni, che ſi traggono dalla ſemplicità
della
natura, noi levaſſimo tutta la forza, che lor
viene
dal pregiudizio, e dall’ errore, credo che
molto
poca gliene reſterebbe.
Qual è queſto pre-
giudizio
?
diſſe il Signor D. Serao. Il pregiudizio
è
, riſpoſi, che eſſendo noi avvezzi a lodar ſem-
pre
i noſtri artefici, e tutte le loro opere, tanto
più
, quanto più ſono ſemplici, vogliamo trasferi-
re
in Dio la ſteſſa lode;
ne ci accorgiamo, che
quello
, che è lode ne noſtri artefici, potrebbe non
eſſer
lode in Dio.
Come? diſſe il Signor D. Se-
rao
;
ſe è lode dell’ orologiero compor l’orologio
più
toſto di tre ruote, che di venti, potendo

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