Caverni, Raffaello, Storia del metodo sperimentale in Italia, 1891-1900

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1stesso aveva, nel Trattatello suo De mechanicis, rimosso già quel­
l'errore del Matematico alessandrino, dimostrando che una sfera
grave posata su un piano orizzontale può rimuoversi dalla sua
quiete absque ulla difficultate (ivi, pag. 155).
Si dice che dopo Archimede uno de'primi e principali pro­
motori dell'Idrostatica fosse, in sull'entrar del secolo XVII, Simeone
Stevino, e s'attribuisce a lui il paradosso che, indipendentemente
dalla sua mole, il liquido preme secondo l'altezza sua verticale, il
fondo del vaso.
Ma il nostro Benedetti aveva già da vent'anni di­
mostrato questo stesso paradosso idrostatico, applicandolo, come i
fisici moderni fanno, a spiegar l'equilibrio de'liquidi in due vasi
di varia capacità, comunicanti.
Chi vuol persuadersene legga l'Epi­
stola o Responso a Giovan Paolo Capra De machina quae aquam
impellit et sublevat a pag.
287-88 della citata edizione.
Fosse stato così felice il Matematico del Duca di Savoia in in­
vestigar le leggi delle acque correnti! Tutt'all'opposto egli incorre
in tali errori, che non si crederebbero da chi ammira la sagacia di
quell'ingegno, se al citato Responso non si vedesse, nel Libro Delle
Speculazioni, seguitar l'altro col titolo Nova solutio problematis de
vase pleno liquoris (pag.
289) a risolvere il quale ammette, come
principio notissimo e vero, che le quantità di liquido, fluito da un
vaso di qualunque figura, sieno sempre proporzionali ai tempi.
In
ciò egli è tanto inferiore al Cardano, quanto in Fisica è superiore
a tutti.
E per incominciar di là, dove primo s'introdusse a speculare
il Cardano, si notò com'egli volesse banditi dalla scienza que'nomi
vani di fuga e di orrore del vacuo, e come, a spiegare il fatto del
vaso, dentro cui, succhiata l'aria, entra l'acqua, dicesse che questa
era attratta da quella.
Lo Scaligero non seppe veder dove mai rise­
desse questa forza di attrazione, ma, facile a negare, null'altro in
sostanza, a supplire al difetto e a mostrare il vero, asserisce.
Il Tar­
taglia, attendendo a quell'altro modo del rarefarsi l'aria per opera
del calore, e al fatto che pur così il vaso attrae l'acqua, avea pro­
clamato il principio che sia proprietà del calore l'attrarre.
Ma il
Benedetti se ne ride, e dice esser proprietà del calore non l'attrarre
ma il dilatare.
Cosa poi notabile è che, estendendo questo poter di­
latante a tutti i corpi, soggiunge come per via del dilatarsi e del
restringersi, al crescere e al diminuir del calore, i vasi si rompono
nelle loro parti più deboli (pag.
27). Nelle Disputazioni sui Placiti
di Aristotile (pag.
194) torna su questo stesso argomento, rendendo

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