Caverni, Raffaello, Storia del metodo sperimentale in Italia, 1891-1900

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              <s>
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              che quello di Galileo, e ce lo rappresenta timido in dar fuori i suoi
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              sentimenti circa la Filosofia Naturale, i quali vuol che egli cavasse
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              da Celio Calcagnini e dal Patrizio. </s>
              <s>Michelangiolo Ricci, l'amico e
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              il Discepolo prediletto del Torricelli, e il consultore dell'Accademia
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              del Cimento, in una lettera al principe Leopoldo dei Medici, rim­
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              provera l'Autore di quegli Elogi per aver taciuto di annoverare
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              fra'maestri di Galileo il Benedetti,
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              che gli aprì la strada più che
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              ogni altro e forse fu solo a lui scorta nel suo filosofare, come avrà
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              ben notato V. A. paragonando i concetti dell'uno e dell'altro che
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              sono tanto conformi.
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              (MSS. Gal. </s>
              <s>Cim. </s>
              <s>XVIII, 359). </s>
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              <s>I nostri lettori, i quali hanno passato in esame con noi, di so­
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              pra, il libro delle Speculazioni del Fisico veneziano, sentono la ve­
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              rità del giudizio del Ricci, e dall'altra parte chi collaziona le parole
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              scritte da Galileo, in sul principio della sua Lettera al Mazzoni
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              <s>II, 1), con quel che il Mazzoni stesso dice nel Cap. </s>
              <s>XVIII,
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              de'
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              Preludi alla Filosofia di Platone e di Aristotile,
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              da pag. </s>
              <s>187-95
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              dell'edizion di Venezia 1597; rileva chiaramente che in Pisa i due
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              professori conferivano insieme sulle Questioni Meccaniche del Be­
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              nedetti, intorno alle quali il giovane Galileo s'esercitò tanto studio­
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              samente, che ne compose quel Trattato informe
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              De motu
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              dato ora
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              che è poco alla luce da pag. </s>
              <s>251-419 del volume primo dell'edizion
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              Nazionale (Firenze 1890). Eppure, benchè Michelangiolo Ricci, e,
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              che più conta, i fatti attestino che Galileo bevve così largamente al
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              libro delle Speculazioni, non è possibile il trovare in nessuna delle
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              Scritture galileiane, o edite o inedite o pubbliche o familiari, ricor­
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              dato mai o almeno accennato al nome di Giovan Battista Benedetti. </s>
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              <s>Solenne maestro in Idrostatica, poco prima che Galileo dasse
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              opera alle
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              Galleggianti,
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              era dalla lontana Bruges apparito Simeone
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              Stevino, un'altra di quelle ombre paurose che, a voler regnar solo,
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              o bisognava contrucidare, o in qualche modo esiliare dai proprii
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              confini. </s>
              <s>Or avvenne che codesto bandito straniero, allacciato quasi
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              alla coda di un Discorso accademico letto in Roma da Giovanni
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              Bardi, comparisse al cospetto di Galileo. </s>
              <s>Quel Discorso è inti­
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              tolato
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              Eorum quae vehuntur in aquis Experimenta
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              (Targioni, Ag­
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              grandim. </s>
              <s>T. II, P. I, pag. </s>
              <s>2) e si termina dall'Autore coll'aggiungervi
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              quel curioso paradosso, dimostrato dallo Stevino ne'suoi Elementi
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              d'Idrostatica, di un vaso cilindrico pieno d'acqua che, sollevato in
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              alto sotto un cilindro solido fisso nel muro, in modo che entri dentro
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              a quello di sotto, scacciandone via l'acqua, da rimanerne quasi vuoto;
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              pesa nonostante sulla stadera, allo stesso modo che quando era pieno. </s>
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