1in cui nulla s'ha da perdere o da sperare. Non si può altro dir
dunque se non che questa invalsa e corrente opinione, che contra
dice ai fatti storici, abbia tolta la libera serenità dei giudizî.
dunque se non che questa invalsa e corrente opinione, che contra
dice ai fatti storici, abbia tolta la libera serenità dei giudizî.
Che sia veramente così, ne possiamo vedere gli esempi in due
dei più grandi uomini, che, tra il finire del secolo passato e il co
minciare del nostro, fiorirono fra i cultori degli studi galileiani. Da
che il Lagrangia affermò e il Venturi diffuse la sentenza, s'è ripe
tuto e si ripete da tutti che Galileo fu primo a introdurre nella
Meccanica il principio della composizione delle forze e delle velocità
virtuali. Ora è un fatto che, fra tutte le sentenze, nessun altra è
più aliena dal vero di questa.
dei più grandi uomini, che, tra il finire del secolo passato e il co
minciare del nostro, fiorirono fra i cultori degli studi galileiani. Da
che il Lagrangia affermò e il Venturi diffuse la sentenza, s'è ripe
tuto e si ripete da tutti che Galileo fu primo a introdurre nella
Meccanica il principio della composizione delle forze e delle velocità
virtuali. Ora è un fatto che, fra tutte le sentenze, nessun altra è
più aliena dal vero di questa.
Qual documento che attesti aver Galileo veramente professato
il principio, che la resultante di due forze è determinata in inten
sità e in direzione dalla diagonale, si cita il teorema II della quarta
Giornata delle Due Nuove. Scienze. Ma il Cartesio, nel tempo stesso,
aveva applicato quel teorema alla luce, come si può veder dal § 2°
del secondo capitolo della Diottrica pubblicata in francese nel 1637.
Ed è a notar che l'Autore, il quale, come altrove, anco qui insiste
sulle orme del Keplero, ripete i processi dimostrativi della propo
sizione XIX dei Paralipomeni a Vitellione, dove il moto obliquo del
raggio luminoso e incidente sopra lo specchio si decompone in due,
uno perpendicolare e l'altro parallelo alla superficie del medesimo
specchio (Francof. 1604, pag. 15). Anzi quell'ingenuo e schietto ca
rattere del grande Alemanno non tace che l'applicazione del teo
rema meccanico ai moti della luce risale su fino ad Alhazen e a
Vitellione, de'quali autori scrive queste parole: “ Et addunt subtile
nescio quid motum lucis oblique incidentis componi ex motu per
pendiculari et motu parallelo ad densi superficiem ” (ibi, pag. 84).
il principio, che la resultante di due forze è determinata in inten
sità e in direzione dalla diagonale, si cita il teorema II della quarta
Giornata delle Due Nuove. Scienze. Ma il Cartesio, nel tempo stesso,
aveva applicato quel teorema alla luce, come si può veder dal § 2°
del secondo capitolo della Diottrica pubblicata in francese nel 1637.
Ed è a notar che l'Autore, il quale, come altrove, anco qui insiste
sulle orme del Keplero, ripete i processi dimostrativi della propo
sizione XIX dei Paralipomeni a Vitellione, dove il moto obliquo del
raggio luminoso e incidente sopra lo specchio si decompone in due,
uno perpendicolare e l'altro parallelo alla superficie del medesimo
specchio (Francof. 1604, pag. 15). Anzi quell'ingenuo e schietto ca
rattere del grande Alemanno non tace che l'applicazione del teo
rema meccanico ai moti della luce risale su fino ad Alhazen e a
Vitellione, de'quali autori scrive queste parole: “ Et addunt subtile
nescio quid motum lucis oblique incidentis componi ex motu per
pendiculari et motu parallelo ad densi superficiem ” (ibi, pag. 84).
Galileo propriamente non fece altro che tentar del teorema una
dimostrazione, la quale è fondata sopra l'equivoco tra potenza di
namica e potenza numerica. Preso a quell'equivoco rimase a prin
cipio anche il Mersenno, come si par dalla proposizione XXII della
sua Meccanica (Parisiis 1644, pag. 81) e se ne accorse o ne fu fatto
accorto appena stampato il libro. Perciò, nella Prefazione innume
rata, fra le altre cose di che si ricrede, ci è anche quella proposi
zione, della quale, dopo aver detto che est ex mente Galilaei pag. 250
Dialogorum, immediatamente soggiunge: “ quod tamen minime
verum esse videtur. ” Non falso il teorema, falso il principio dimo
strativo, che cioè la potenza della resultante sia uguale alla somma
delle potenze o de'quadrati delle due componenti: anzi il teorema
dimostrazione, la quale è fondata sopra l'equivoco tra potenza di
namica e potenza numerica. Preso a quell'equivoco rimase a prin
cipio anche il Mersenno, come si par dalla proposizione XXII della
sua Meccanica (Parisiis 1644, pag. 81) e se ne accorse o ne fu fatto
accorto appena stampato il libro. Perciò, nella Prefazione innume
rata, fra le altre cose di che si ricrede, ci è anche quella proposi
zione, della quale, dopo aver detto che est ex mente Galilaei pag. 250
Dialogorum, immediatamente soggiunge: “ quod tamen minime
verum esse videtur. ” Non falso il teorema, falso il principio dimo
strativo, che cioè la potenza della resultante sia uguale alla somma
delle potenze o de'quadrati delle due componenti: anzi il teorema