Caverni, Raffaello, Storia del metodo sperimentale in Italia, 1891-1900

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1lungo lavorìo di secoli, rimasta un po'per natura un po'per arte
nascosta, secondò le intenzioni di Galileo, in dare a credere che
non fosse quello veramente un pollone rigoglioso, ma un albero,
il quale non riconoscesse altra origine che dal suo proprio seme.

Il nostro scandolezzante discorso ha messo quella sotterranea cep­
paia allo scoperto, e al miracolo (giacchè l'albero in che si vuole
impersonar Galileo, se fosse nato di seme e giunto a sì grande altezza
sarebbe miracoloso) ha sostituito un fatto naturale e perciò vero.
In altro modo, per ripigliar quell'altra similitudine forse meglio
appropriata, Galileo instituì una Tirannide in un Principato decre­
pito, usando l'arte di tutti i conquistatori, che è quella di arric­
chirsi delle spoglie degli uccisi.
Queste spoglie volle far credere che
non fossero appartenute a nessuno, e il nostro Discorso ha scoperto
che ciò non è vero, come lo attestano i fatti e lo conferma la na­
tura di ogni conquista.
Ma un'altra più efficace conferma, che ve­
ramente l'istaurazione galileiana avesse la natura di una conquista,
s'ha dal vederne conseguitare al conquistatore i consueti danno­
sissimi effetti.
Le usurpazioni, l'esilio, le stragi, che è costretto a commettere
colui, il quale vuol solo partecipare del Regno, sono per necessità
occasioni di odii e di vendette, che si suscitano più che mai feroci,
dal sangue e dalle ceneri stesse dei vinti.
Di questi odii e di queste
vendette il Regno di Galileo và famoso, nè par che sieno state fin
qui ritrovate, di tanto effetto, le giuste e proporzionate cagioni.
Son
ricorsi, per consueto refugio, all'ignoranza dei tempi e alle reli­
giose superstizioni, quasi che le innovatrici dottrine dei nostri giorni,
che son giorni di libertà e di progressi, non abbiano avuto e non
sieno per avere sempre, fra gli uomini che adombrano ad ogni
novità, i medesimi sfavorevoli incontri.
Come si concilii la condanna dei Dialoghi dei Due Massimi
Sistemi, e la dedica al Papa, del libro De revolutionibus, è proble­
ma lasciato irresoluto ancora da tanti declamatori, ai quali riman
pure a spiegare come mai fosse tolta libertà a Galileo di toccar delle
dottrine del Copernico, e fosse largamente concessa al Bullialdo,
mutato nome in quello di Filolao.
Come mai così franco il Roberval,
per fare una burla agli scienziati, facesse pubblicare al Mersanne
l'Aristarco, e il Borelli nella Lettera sulla Cometa uscisse fuori in
abito pitagorico, tanto pauroso, adombrando dell'Inquisitore, pa­
rendogli di vederselo innanzi sulla punta dei piedi (MSS. Gal.
Cim.
T. XVIII, c.
125). E chi volesse per curiosità seguitare a interrogare

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