Caverni, Raffaello, Storia del metodo sperimentale in Italia, 1891-1900

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1non vedesse o non esaminasse bene il Trattato De radiis visus et
lucis del celebre spalatrese.
È chiaro infatti che le doppie rifrazioni
e le doppie riflessioni del De Dominis hanno tutt'altro significato
che nel Cartesio, e se queste son conformi alla verità, quelle son
delle solite peripatetiche immaginazioni.
Nè affatto giusta sembra
a noi quell'altra sentenza del Newton che cioè il Cartesio non in­
tendesse la natura dei colori, avendo egli rassomigliati i colori del­
l'iride a quelli in che si disperdono i raggi del sole refratti attra­
verso ai prismi triangolari.
Se qualcuno perciò precedè il Cartesio nella scientifica spie­
gazione del fenomeno meteorologico, questi fu, nò il De Dominis
ma Ferrante Imperato.
E perchè non è facile che il lontano e su­
perbo Bretone si piegasse a leggere l'Historia Naturale del nostro
Napoletano, non resta ad ammettere se non che egli attingesse,
come da prima fonte, al Maurolico citato dallo stesso Cartesio con
orgoglioso disprezzo.
Or il Maurolico, che fra tutti i precursori del Newton fu primo
a intraveder la teoria dei colori e a trattar dell'iride come d'un
fenomeno d'ottica matematica, bastava solo ad aprir la via al Car­
tesio, a cui, prevenuto già nell'esperienza delle palle piene d'acqua
che appariscono iridescenti collocate, rispetto all'occhio, in deter­
minata posizione e distanza; non bisognò, a risolvere il problema,
altro più che l'uso del calcolo e della geometria.
Qui poi, cioè nel calcolo geometrico consistono i meriti singo­
lari del Cartesio, il quale ci rivela anco da questa parte lo spirito
aristotelico informatore della sua nuova Filosofia.
Si vide infatti che
unico frutto della scuola peripatetica non fu che l'algebra, come
l'algebra applicata fu pure l'unico frutto della scuola cartesiana.

Questa stessa applicazione dell'Algebra alla Geometria rende la ra­
gione di qualcuno di quei progressi, che lo stesso Cartesio fece nella
Meccanica, benchè anco di qui trasudi la pece aristotelica in quelle
sofistiche sottigliezze, tese qua e là, per le sue Lettere, come lacci
insidiosi, a cogliere in fallo i teoremi di Galileo.
Ma della sterilità d'ogni buon frutto di scienza sperimentale il
Cartesio da sè stesso s'accusa e si confessa.
S'accusa, quando, nella
Prefazione alla traduzione latina dei Principii della Filosofia, dice
che gli resterebbe a trattar della Medicina e delle arti meccaniche,
per le quali si richiedono sperimenti e spese quibus privatus qualis
ego sum nisi a publico adiuvaretur par esse non posset. Galileo,
che fu tanto più povero di lui, non fece mai di queste scuse, e si

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