Caverni, Raffaello, Storia del metodo sperimentale in Italia, 1891-1900

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1dam celeritatem, et facillimum est contrarium probare ” (Epistolae Pars II,
ibid., pag.
255)
Tace qui il Cartesio la facile prova, ma in un'altra epistola, indirizzata
essa pure al Mersenno, dice che può dedursi dal fatto della Bilancia in equi­
librio, sul piattello della quale chi getta una piccola moneta vede moversi
il braccio in basso assai lentamente, ma a gettarvi una moneta doppia si
osserva farsi allora la declinazione più che doppiamente sollecita.
“ Si bi­
lanci in aequilibrio constitutue imposueris nummum aliquod, quod illi mo­
mentum dare possit, tum enim admodum lente deprimetur, cum contra si
eiusdem istius ponderis duplum imposueris, decidet plus quam duplo citius ”
(ibid., pag.
320).
Le varie proporzioni di moto nella Bilancia si concludevan dunque per
il Cartesio da un semplice fatto sperimentale, ond'è che venivasi male a
proposito invocando la Fisica a decidere una questione di Matematica pura.

Era una tal questione risoluta già da Galileo, quand'egli dimostrò “ che il
cadente, partendosi dalla quiete passa per tutti gl'infiniti gradi di tardità ”
(Alb.
I, 34). La teoria così formulata doveva esser quella che venisse a in­
formare il fatto sperimentale invocato dal Cartesio, correggendo i facili in­
ganni che, rispetto ai moti della Bilancla, si poteva far l'occhio, ma ripu­
diando una certezza matematica per attenersi a una fisica fallacia, s'ostinò
il Cartesio stesso a negar quel che delle velocità iniziali aveva sapientemente
concluso Galiteo.
“ Sciendum enim est, quidquid in contrarium dicant Ga­
lileus et alii nonnulli, corpora quae descendere, vel quocumque modo mo­
veri incipiunt, non transire per omnes tarditatis gradus, sed a primo instanti
aliquantam velocitatem obtinere, quae postea multum augetur ” (Epistol.,
P. II cit., pag.
115).
Il Mersenno, a cui si dirigevano queste parole, domandava la prova di
così fatta sentenza, ma perchè il Cartesio non l'aveva pronta, e conosceva
forse che non sarebbe riuscito mai a trovarla, si scusava rispondendo non
aver inteso di negare assolutamente che il mobile passi per tutti gl'infiniti
gradi di tardità ” sed vero dixi non posse id, nisi praecognita gravitatis na­
tura, determinari ” (ibid., pag.
122). Non si capiva però come mai non si
potesse determinare il moto iniziale di un grave, senza preconoscere la na­
254[Figure 254]
Figura 63.
tura della gravità, ond'è perciò che il Mersenno citava la
dimostrazione di Galileo, la quale concludevasi, senz'altre
prenozioni, dai principii certissimi della Geometria.
Così in
fatti, rappresentandosi con i lati di un triangolo gli ele­
menti del moto, procede nella Giornata II dei Due massimi
sistemi quella galileiana dimostrazione: “ Essendo posto il
termine A (fig.
63) come momento minimo di velocità,
cioè come stato di quiete, e come primo instante del tempo
susseguente AD, ě manifesto che, avanti l'acquisto del
grado di velocità DH fatto nel tempo AD, si è passato
per altri infiniti gradi minori e minori guadagnati negli

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