Caverni, Raffaello, Storia del metodo sperimentale in Italia, 1891-1900

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              <s>
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              porzione della quantità della materia, era non bello solo, ma necessario, spe­
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              cialmente a que'tempi, ne'quali si voleva stabilir la scienza sopra più fermi
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              principii, e infonderle un vigor nuovo di vita. </s>
              <s>Il fondamonto naturale però
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              era da ritrovar nella Matematica, ma benchè avesso Galileo trattato co'mo­
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              menti molta parte della Scienza meccanica, misurandoli dal prodotto del peso
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              per la distanza, la matematica dimostrazione nulladimeno di questo fonda­
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              mental teorema, fecondissimo di tanti corollarii, era quella che, ne'primi
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              decennii del secolo XVII, quando ancora non era nemmen conosciuto il trat­
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              tato del Maurolico, più vivamente da tutti si desiderava. </s>
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              <s>Alla fine del terzo di quei decennii quel che di Meccanica aveva pub­
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              blicamente insegnato Galileo si riduceva ne'dialoghi Dei due massimi Si­
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              stemi, nel secondo dei quali, avendo asserito il Salviati che due momenti
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              si eguagliano allora insieme quando si eguagliano i prodotti delle velocità
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              per i pesi, il Sagredo così gli domanda: “ Ma credete voi che la velocità
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              ristori per l'appunto la gravità? </s>
              <s>cioè che tanto sia il momento e la forza
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              di un mobile v. </s>
              <s>g. </s>
              <s>di quattro libbre di peso, quanto quella di un di cento,
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              qualunque volte quello avesse cento gradi di velocità, e questo quattro gradi
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              solamente? </s>
              <s>” (Alb. </s>
              <s>I, 237). Il che voleva dire in altre parole: credete voi
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              che i momenti stiano veramente in ragion composta delle velocità e dei pesi? </s>
              <s>
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              A che risponde il Salviati: “ Certo sì, come io vi potrei con molte espe­
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              rienze provare ” (ivi), fra le quali molte esperienze sceglie quella notissima
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              della stadera, nella quale veramente si vede che la maggior velocità del pic­
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              colo romano compensa il legger moto della gravissima balla. </s>
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              <s>Ma questo era insomma un rendere più ardente la sete, che già ne
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              aveva accesa Archimede, a cui, domandandosi perchè due pesi eguali equi­
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              ponderino da due eguali distanze, rispondeva con più ragione di Galilao, ri­
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              mandando i curiosi alla disciplina delle esperienze volgari. </s>
              <s>Il progresso di
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              tanti secoli esigeva con più diritto matematiche dimostrazioni, e giacchè lo
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              stesso Galileo non aveva corrisposto al comun desiderio, pensò di supplirvi
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              opportunamente uno de'suoi primi discepoli, Niccolò Aggiunti. </s>
              <s>Egli, precor­
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              rendo di quasi un mezzo secolo al Mariotte ed altri Matematici, avea tentato
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              una più generale dimostrazione delle leggi dei momenti, riducendoli così a
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              quella che, in qualunque condizion del mobile, o stabilmente sospeso o libe­
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              ramente mosso, ebbe proprio nome di
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              quantità di moto.
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              Abbiamo detto che
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              tentò di fare quel che certamente avrebbe messo ad effetto, se così giovane non
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              l'avesse alla scienza rapito la morte. </s>
              <s>Ma quel che in ogni modo può respi­
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              golarsi dalle informi carte lasciate da lui, in quella parte che fu senza dubbio
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              scritta fra l'anno 1632 e il 1635, basta per farci argomentare a qual maggior
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              grado di perfezione sarebbe giunta la scienza del moto infino da'suoi principii,
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              se la Fisica di Galileo avesse avuto il conforto della Geometria dell'Aggiunti. </s>
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              <s>Il valoroso giovane precursore del Mariotte e del Borelli, nelle sparse
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              pagine del suo trattato, primaticcio frutto di quella, che poi si chiamò da
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              Galileo Scienza nuova, incominciò dal definire i modi e le sperimentate leggi,
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              secondo le quali i corpi in moto operano la percossa. </s>
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