Caverni, Raffaello, Storia del metodo sperimentale in Italia, 1891-1900

Page concordance

< >
< >
page |< < of 3504 > >|
    <archimedes>
      <text>
        <body>
          <chap>
            <p type="caption">
              <s>
                <pb xlink:href="020/01/1972.jpg" pagenum="215"/>
              locato il peso: facilissime esperienze dimostrarono che, facendosi forza in A
                <lb/>
              a una distanza da C eguale a quella di B, si durava fatica quanto a tenere
                <lb/>
              il peso in mano, o quanto a riprenderlo dalla mensola, dove s'era attac­
                <lb/>
              cato, e rimetterselo sulle braccia. </s>
              <s>Ritirando però B verso C si sentiva alle­
                <lb/>
              viare via via la fatica, infin tanto che, giunto in C, non ci voleva forza di
                <lb/>
              nulla. </s>
              <s>S'ebbe anche di qui perciò a riconoscere che fra il tutto e il nulla
                <lb/>
              v'erano le vie di mezzo, la ragion delle quali dipendeva dalla maggiore o
                <lb/>
              minor distanza dal sostegno, secondo la qual distanza si potevano a piacer
                <lb/>
              dell'arte compartire, fra la potenza e la resistenza, i respettivi momenti. </s>
              <s>
                <lb/>
              Quanto più debole si sentiva il motore, tanto più studiavasi di caricarsi di
                <lb/>
              men peso per sè, e di lasciarlo piuttosto sul sostegno, pigliando giusta re­
                <lb/>
              gola dalle distanze, giacchè l'esperienza gli avea insegnato che tanto più resi­
                <lb/>
              ste la macchina, quanto ha il peso più vicino al centro del moto, e tanto
                <lb/>
              men fatica si dura, quanto gli si resiste di più lontano. </s>
            </p>
            <p type="main">
              <s>La Leva e il Piano inclinato sono i due esemplari, a cui s'informano,
                <lb/>
              e da cui dipendono le altre macchine conosciute e descritte dalla scienza
                <lb/>
              ne'suoi trattati, giacchè derivano dalla prima l'Asse in peritrochio e il Po­
                <lb/>
              lispasto, e dalla seconda il Cuneo e la Coclea. </s>
              <s>Que'Filosofi perciò, che al
                <lb/>
              sopra detto modo ragionavano, investigarono l'intima costituzione di tutt'e
                <lb/>
              sei le potenze meccaniche, e facilmente ne riconobbero le proprietà nelle
                <lb/>
              ragioni e negli usi. </s>
            </p>
            <p type="main">
              <s>Fruga i nostri Lettori la curiosità di sapere se fossero que'Filosofi, o
                <lb/>
              gli antichi del tempo di Archimede, o i moderni del tempo di Galileo, per
                <lb/>
              dar sodisfazione alla qual curiosità rispondiamo essere stati coloro, che più
                <lb/>
              espressamente riducevano le virtù delle macchine al sostegno, Filosofi sco­
                <lb/>
              nosciuti di que'tempi di mezzo, ne'quali speculava Leonardo da Vinci. </s>
              <s>Il
                <lb/>
              fondamento statico di Lui, come si riferì nella prima parte del precedente
                <lb/>
              discorso, è riposto nel principio notissimo che
                <emph type="italics"/>
              quella cosa, che fia più lon­
                <lb/>
              tana dal suo firmamento, manco da esso fia sostenuta,
                <emph.end type="italics"/>
              d'onde se ne con­
                <lb/>
              cludono le leggi dell'equilibrio tra la potenza e la resistenza dei gravi so­
                <lb/>
              spesi. </s>
              <s>Quanto ai gravi posati sui piani, vedemmo nel capitolo primo di que­
                <lb/>
              sto Tomo come Leonardo, immaginando di aver la ruota di un carro, che
                <lb/>
              si muova su per un'erta, determinasse con geometrica precisione quel che
                <lb/>
              va del peso al sostegno, e quel che rimane a tirare alle forze dell'uomo o
                <lb/>
              del cavallo. </s>
            </p>
            <p type="main">
              <s>Investigata così la natura delle macchine nelle sue ragioni, era facile
                <lb/>
              secondo la verità a comprenderne gli usi, imperocchè s'immagini di aver,
                <lb/>
              nella passata figura XCIII, qualche corpo pesante A, il quale si voglia, ser­
                <lb/>
              vendosi del piano inclinato, sollevare a un'altezza possibile alle nostre forze. </s>
              <s>
                <lb/>
              Sia quello scelto piano AM, e sopr'esso tirisi il grave, per mezzo della fune
                <lb/>
              AE, che passi in E, per la gola della puleggia ivi affissa. </s>
              <s>Giunto A in M è
                <lb/>
              scorsa tanto di fune EH, quanto è la lunghezza AM, e s'è così conseguito
                <lb/>
              l'intento. </s>
              <s>Volendosene ora esaminare il modo, si troverà che, se avessimo
                <lb/>
              avuto forza pari alla resistenza, e nè perciò bisogno alcuno di macchina, sa-</s>
            </p>
          </chap>
        </body>
      </text>
    </archimedes>