Caverni, Raffaello, Storia del metodo sperimentale in Italia, 1891-1900

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              faceva notar, come cosa nuova e importante, che le virtù della macchina
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              non nascono dalla Troclea in sè stessa, ma dalla fune, la quale, avvolta so­
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              lamente di sotto, se la potenza tira in su, o di sotto e di sopra, se si vuol
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              farla tirare in giù, percorre uno spazio doppio di quello, che nello stesso
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              tempo si percorre dal peso. </s>
              <s>“ Observandum quoque est vires illas non a
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              Trochlea proficisci, sed tantummodo a funis motu illius, qui ponderi est
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              motus duplo ” (Editio cit., pag. </s>
              <s>15). In una delle sue Epistole poi diceva
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              essere una sciocchezza quella di Guidubaldo, che riduceva la Troclea alla
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              natura del Vette. </s>
              <s>“ In Trochea autem ineptum mihi videtur Vectem quae­
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              rere, quod, si bene memini, Guidonis Ubaldi figmentum est ” (Epist., P. II
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              cit., pag. </s>
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              <s>L'accusa insolente è stata oramai giudicata dai Matematici moderni, i
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              quali, benchè considerino più volentieri le tensioni delle funi, non credon
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              però che sia ridicolo il riconoscere nella Troclea le virtù stesse del Vette. </s>
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              Più giudiziosa dunque di quella del Cartesio sembrerà a tutti la delibera­
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              zione presa da un nostro Italiano, se non precursore certamente contempo­
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              raneo al Filosofo francese, il qual nostro Autore, intendendo che sia la po­
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              tenza applicata alle funi, pensava di avere a dimostrar le proposizioni delle
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              Taglie meglio di Guidubaldo. </s>
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              <s>Niccolò Aggiunti sanamente ragionava non poter essere le virtù, dove
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              manchi la natura del Vette, la quale par che essenzialmente sia posta nel
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              sostegno. </s>
              <s>“ Se il peso G, egli dice (nella precedente figura XCVIII), sarà
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              sostenuto dalle forze A, C, il sostegno in B sosterrà quel che avanza a dette
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              forze, perchè il sostegno B non fa forza in su ma solo ritien che la leva,
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              dalla parte B, non si muova in giù. </s>
              <s>Sicchè, quando le sole forze A, C fos­
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              sero bastanti a sostenere il peso G (come sempre avvien nelle Taglie) il so­
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              stegno non opera cosa alcuna ” (MSS. Gal. </s>
              <s>Disc., T. XVIII, fol. </s>
              <s>91). </s>
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              <s>Persuaso dunque che debba esser così, come la mente gli ragionava,
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              che cioè nelle taglie operino solamente le forze applicate alle funi, a dimo­
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              strare il particolar modo di così fatta operazione s'apparecchiava l'Aggiunti
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              il seguente teorema: “ Sia la
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              superfice parallelogramma o ret­
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              tangola AB (fig. </s>
              <s>99) orizzontale,
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              ed in essa sia la linea ED, che
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              divida nel mezzo FB, AI, ed essa
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              ancora sia divisa in mezzo col
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              punto C, dal quale ereggasi la
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              CH perpendicolare al piano AB. </s>
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              Intendasi la detta linea ED mo­
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              una bilancia di braccia uguali,
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              seguentemente mobile la super­
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              <s>Intendansi poi distese
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              <s>Figura 99.</s>
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