Caverni, Raffaello, Storia del metodo sperimentale in Italia, 1891-1900

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1sito, che gli si propone intorno alla perpetuità del moto, possibile ad otte­
nersi dalle virtù perpetuamente attrattive del magnete.
S'applica perciò ad
esaminar diligentemente la proposizione IX dell'ottavo libro delle matema­
tiche Collezioni, e facilmente si avvede che l'assunto preso dall'Autore, per
concluder la sua proposizione, era falso, perchè, per movere il peso nel­
l'orizzonte, tutt'altro che bisognarvi maggior forza che a moverlo su per
l'acclivio, non ci vuol anzi forza di nulla, come, per i teoremi del Cardano
e del Benedetti, era a tutti oramai notissimo.
Fa notare di più il Cabeo l'as­
surdo, che conseguirebbe manifestissimo dalle posizioni di Pappo, perchè, se
nella figura CV, la potenza P deve stare al peso E come EF ad FG, “ si
HM accedat ad perpendicularem, requireretur potentia maxima, et, si sit
omnino perpendicularis, infinita, quod est impossibile ” (Coloniae 1629,
pag.
342). Se nell'equazione infatti P=EXEF/FG, FG riducesi a zero, do­
vrebbe tornar P uguale all'infinito.
Perchè dunque da un principio falso non poteva conseguirne il vero,
propone il Cabeo una soluzion del problema diversa da quella di Pappo, e
perchè insomma non si trattava d'altro, che di trovar la forza necessaria a
far risalire il grave sopra l'acclività del piano HM, considera questa forza
applicata in I all'estremità di una leva di secondo genere, che abbia in F
o in L il fulcro, e in E la resistenza.
Le note leggi del Vette, applicate al
piano inclinato, davano dunque risoluto il problema col far come FI ad FE,
così il peso alla potenza, che ha da sollevarlo.
Che se questa ragione non
piace “ quia vere etiam ipsa suas habet difficultates, donec exactius exami­
netur, hanc aliam habeto ” (ibid., pag.
343), ma la nuova, che si propone,
sembra andare anche più lontana dal vero, per raggiungere il quale sarebbe
allo stesso Cabeo stato meglio deliberarsi affatto dalla costruzione, e dalla
geometrica dimostrazione di Pappo.
Così giudiziosamente avea fatto Galileo, a cui sorti perciò di dare il
primo la ragion del piano inclinato, derivandola dai principii della Scuola
alessandrina che, reputata da lui unica legittima, gli fece ingiustamente dire,
nell'accingersi a trattar delle proporzioni dei moti di un medesimo mobile
sopra diversi piani inclinati, che quella era questione “ a Philosophis nul­
lis, quod sciam, pertractata ” (Alb.
XI, 56). Consiste la nuova dimostrazione
nel trapassar, dai gravi sostenuti dal braccio di
una Libbra, a considerarli come sostenuti dalla re­
sistenza di un piano, appropriando a questo le note
condizioni dell'equilibrio di quella.
Se dal braccio
AB di una Leva (fig.
110) penda in B un peso, que­
sto eserciterà il suo momento totale, mentre esso
braccio rimanga in AB livellato.
Ma se inclinisi in
AC, il momento parziale di C, rispetto al totale in B,
sarà, secondo il noto teorema del Benedetti, come
la porzione AD, precisa dalla perpendicola CD, a
301[Figure 301]
Figura 110.

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