Caverni, Raffaello, Storia del metodo sperimentale in Italia, 1891-1900

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1tutta intera la AB. Se s'immagini ora nel punto C essere applicato un piano
EF, perpendicolare ad AC, tanto fa al grave a pendere dal braccio della
Leva, quanto a riposare sul piano, per scendere lungo il quale esercita ugual
momento che lungo l'arco del cerchio.
Dunque anche il momento parziale di
C, posato sul piano EF, sarà al momento totale come AD ad AC, ossia AB,
e come EG sta ad EF, per la similitudine dei triangoli.
“ Però concluderemo,
scrive Galileo, questa universal proposizione col dire: sopra il piano la forza
al peso avere la medesima proporzione che la perpendicolare, dal termine
del piano tirata all'orizzonte, alla lunghezza di esso piano ” (ivi, pag.
118).
Correva attorno questa galileiana dimostrazione manoscritta, prima del­
l'anno 1615, sotto il nome del Vieta, cosa creduta da molti, come dal Ba­
liani (Alb.
XVI, 105) anche in Italia, ma benchè più seducente era nondi­
meno più lubrica di quella del Tartaglia.
Attribuisce Alessandro Marchetti
a questa lubricità, delìa quale vedremo nella seguente parte del nostro di­
scorso gli esempii, l'aver Galileo tenuto altro modo nell'aggiunta postuma
al terzo dialogo Delle due nuove scienze.
Ivi, come lo stesso Tartaglia, sug­
geritogli forse dall'Herigonio, di cui siam certi aver esso Galileo fra'suoi
libri il Corso matematico (Alb.
X, 211, 28); dimostra esser due gravi con­
giunti insieme in equilibrio, quando le ascese e le discese virtuali nel per­
pendicolo stanno reciprocamente fra loro come i pesi.
“ Mentrechè dunque
il grave D (nella passata figura CIX) movendosi da A in C, resiste solo nel
salire lo spazio perpendicolare CB, ma che l'altro G scende a perpendicolo,
necessariamente quanto tutto lo spazio AC, e che tal proporzione di salita
e scesa si mantiene sempre l'istessa, poco o molto che sia il moto dei detti
mobili, per esser collegati insieme; possiamo assertivamente affermare che,
quando debba seguire l'equilibrio, cioè la quiete tra essi mobili, i momenti,
le velocità o le lor propensioni al moto, cioè gli spazii che da loro si pas­
serebbero nel medesimo tempo, devon rispondere reciprocamente alle loro
gravità ” (Alb.
XIII, 176). Posto il qual principio, professato dal Tartaglia,
la conclusione era necessariamente la medesima, cosicchè il teorema del Ma­
tematico di Brescia aveva un secolo dopo dal Fiorentino la sua più solenne
conferma.
Era venuto però in quel tempo il Nardi a mettere scrupolo intorno alle
discese, e alle velocità virtuali, invocando il logicale assioma che a posse ad
esse non valet illatio, nè parendo ragionevole il trattar di una cosa da farsi,
come se fosse già fatta.
Persuaso anche il Torricelli che dalle propensioni
al moto non si potesse ragionevolmente argomentare al moto, ebbe a cer­
care altro principio così formulato: “ Duo gravia simul coniuncta ex se
moveri non posse, nisi centrum commune gravitatis ipsorum descendat ”
(Op.
geom., P. I cit., pag. 99); principio che si trovò opportuno a dimo­
strare il teorema del Tartaglia, e fecondo di altre bellissime conseguenze.
Se sopra i due piani CM, CN (fig. 111) diversamente inclinati, e insi­
stenti sulla medesima orizzontale MN, sien posati due corpi tali, che i loro
pesi stiano come le linee CM, CN, bilanciati insieme poseranno in equilibrio,

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