Caverni, Raffaello, Storia del metodo sperimentale in Italia, 1891-1900

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Queste non son però altro che sottigliezze di effetti, dipendenti dalla
particolar figura del corpo disposto a scendere ora strisciando, ora rivolgen­
dosi in sè stesso o ruzzolando, e Galileo e il Torricelli non sempre usano
la parola momento in senso proprio, come lo definì il Maurolico, ma lo fanno
più spesso sinonimo d'impeto o di, qualunque egli sia, conato al moto, il
quale impeto o conato totale, non variandosi in un medesimo mobile per
variar di posizione o di figura, anche gl'impeti parziali rimangon gli stessi,
e perciò la questione è lasciata a decidere al principio della composizion
delle forze, di bene altra efficacia della macchina dei momenti costruita dal
Marchetti e dal Vanni.
Se di quella sicurissima regola di decomporre le forze avesse saputo
far uso Vitale Giordano, si sarebbe facilmente ravveduto della insussistenza
delle sue obiezioni contro il lemma della proposizione II del Torricelli, e le
sue nubi “ quae videntur obscuritatis nescio quid ac dubii praecedentis theo­
rematis conclusioni offundere ” (Fundam.
doctrinae motus, Romae 1688,
pag.
1) gli si sarebbero d'un tratto dissipate dalla mente, perchè il mo­
mento totale del peso sostenuto orizzontalmente dal braccio della Libbra si
decompone sul piano in due, uno, che solo rimane attivo, e l'altro che si
rintuzza dalla resistenza del piano.
Ma il Giordano che non sapeva vedere
in che modo e in qual precisa quantità le parti rispondessero al tutto, per­
ciò oppose che non può il momento del peso, sostenuto dal solo vette, es­
sere il medesimo di quello sostenuto tutt'insieme dal vette e dal declivio,
sopra il quale egli scende.
Dall'aver dunque trascurata la regola dei moti composti, e non quella
dei momenti, dipendeva la lubricità della prima galileiana dimostrazione, fe­
delmente imitata dal Torricelli, il quale, se non si fosse contentato di dir
così in generale che il grave è in parte abbandonato al proprio impeto, e
in parte è sostenuto dal piano obliquo; non avrebbe dato al Giordano, mes­
sosi su per quel lubrico, occasione di cader così tante volte com'egli fece.

Maravigliosa perciò apparirà, anco da questa parte, la scienza di Leonardo
da Vinci, che fra tanti insidiosi agguati procede sicura, e che ora dà sodi­
sfazione al Marchetti, dimostrando come lui la proposizione del grave sfe­
rico ruzzolante con la regola dei momenti; ora dà sodisfazione al Vanni,
considerando il grave che non ruzzola, ma che striscia suì piano, e pure,
in mezzo alte variate cause accidentali, mostra essere una medesima la ve­
rità dell'effetto.
Cotesta sua sicurezza vedemmo nascere dall'aver saputo com­
partire la gravità per due aspetti, ciò che, non essendosi saputo fare nè da
Galileo nè dal Torricelli, provocò prima i restauri del Marchetti inutili e
inefficaci, e poi la famosa demolizione della Statica antica, tentata dal ge­
suita lucchese Giovan Francesco Vanni.
Antonio Magliabecchi, bibliotecario del granduca di Firenze, mandò un
giorno del 1684 a cotesto Gesuita lucchese, che allora insegnava in Roma,
il libricciolo del Marchetti Dei fondamenti della scienza universale del moto,
dove leggendo il Vanni che Galileo e il Torricelli avevano dimostrata la

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