Caverni, Raffaello, Storia del metodo sperimentale in Italia, 1891-1900

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              <s>
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              che si trova inserita ne'fogli 77, 78 del tomo CXXXII de'Discepoli di Ga­
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              lileo, dove alla figura sono apposte in lapis le linee da noi punteggiate, e
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              in margine, con una crocellina per segno di richiamo, all'ultima ragione
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              scritta CP:AQ è soggiunto: “ vel ut IC ad IF, vel ut FC ad CO ” e ciò
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              vorrebbe dire che la somma dei momenti parziali di tanto eccede il totale,
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              di quanto il totale stesso eccede il solo momento gravitativo. </s>
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              <s>A rispondere alla nostra curiosità di saper qual giudizio facesse di que­
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              sta bernulliana soluzione il Viviani, non abbiamo altro argomento che la tra­
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              scritta postilla, ma possiamo congetturare che non gli sodisfacesse, come
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              quella che portava a concludere contro i principii di Galileo, ai quali non
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              era possibile in ogni modo ridurre l'osservazione che così faceva il Ber­
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              noulli stesso in un suo corollario: “ Concludimus, quo acutiorem angulum
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              ambo plana constituunt, eo magis, et quo obtusiorem eo minus momenta
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              partialia excessura esse momentum totale, ratione rectae CP ad
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              illo
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              casu existente maiore, hoc minore, donec tandem apertura anguli tanta fiat,
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              ut ambo plana coalescant in unum horizontalem, quo facto, coincident quo­
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              que CQ et CR cum CP, sustinebitque planum non nisi ipsum momentum
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              globi absolutum ” (ibid., pag. </s>
              <s>250). </s>
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              <s>Nella meccanica del Casati avrebbero potuto, questo teorema e questo
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              corollario del Bernoulli, trovare il loro pieno e più chiaro commento, inten­
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              dendo che la sopra allegata figura CXXVIII rappresenti in AB e in AC due
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              piani inclinati, nell'angolo fatto dai quali, posato il globo A, vien questo
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              sollecitato da due momenti, l'uno per AG e l'altro per AR, che si com­
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              pongono insieme nella diagonale AN del parallelogrammo. </s>
              <s>Nè sarebbe da così
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              fatta costruzione immediatamente resultato che la somma dei momenti, nei
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              due piani, sta al momento totale come AG+AR, ossia AG+GN, sta ad
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              AN, qualunque poi si fosse l'angolo BAC. </s>
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              <s>Aveva il Casati, come accennammo, presentita in questa conclusione la
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              difficoltà stessa del Vanni, la quale egli risolse, unico e primo, un anno
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              avanti che fosse fatta, con le sue vere e proprie ragioni. </s>
              <s>Com'è possibile,
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              così gli passò per la mente la prima ombra del dubbio, che, dovendo es­
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              sere il tutto eguale alle parti, sia una così fatta e necessaria uguaglianza
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              rappresentata dalle linee AG+GN, e dalla AN, se questa evidentemente è
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              minore di queìle? </s>
              <s>Poi trovò che doveva di necessità esser così, perchè i due
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              moti si elidono, o, come s'era espresso Giovan Marco Marci, matematico di
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              Praga, nel suo libro
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              De proportione motus,
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              si contrariano, ed elidendosi e
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              contrariandosi diminuiscono il loro effetto: or come potrebbero, diminuendo,
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              ragguagliarsi, se non fossero originariamente maggiori? </s>
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              <s>Che poi la terribile difficoltà trovi, in questa semplicissima ragion delle
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              collisioni, la sua risposta, lo spiega il Casati stesso richiamando l'attenzione
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              sul parallelogrammo delle forze, in cui si vede, egli dice, che la resultante
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              è maggiore, quanto minore è l'angolo, e al contrario, avvicinandosi in quel
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              caso le componenti alla concorrenza, e in questo all'apposizione. </s>
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              re plurimum interest quam invicem habeant inclinationem directiones mo-</s>
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