Caverni, Raffaello, Storia del metodo sperimentale in Italia, 1891-1900

Table of figures

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              circonferenze concentriche del piccolo; cioè tutti i gradi di velocità, acqui­
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              stati nel trapassare dalla quiete al grado massimo, a tutti i gradi acquistati
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              passando dall'istessa quiete al grado intermedio, che abbiamo preso. </s>
              <s>Ma i
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              cerchi sono tra loro come i quadrati de'semidiametri, dunque anche dette
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              velocità cresceranno secondo l'incremento de'quadrati de'semidiametri. </s>
              <s>Ma
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              con qual proporzione cresce la velocità nel mobile, crescono anche li spazi
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              decorsi dall'istesso mobile, com'è ragionevole chi acquista altrettanta velo­
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              cità, quanta si trovava avere, guadagna ancora forza di trapassare altret­
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              tanto spazio, quanto faceva, e così nelle altre proporzioni; adunque gli spazi
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              decorsi dal mobile, nel quale si vanno aggregando le velocità, saranno come
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              i quadrati de'semidiametri de'cerchi, ne'quali si possono considerare dette
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              velocità, cioè come i quadrati dei tempi, quali intenderemo nel semidiame­
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              tro del dato cerchio. </s>
              <s>Se quello dunque si supponesse diviso in cinque parti
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              uguali, posto che il quadrato dell'una di queste parti fosse uno, il quadrato
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              di due sarebbe quattro, di tre nove, di quattro sedici, e tal proporzione
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              avrebbero i cinque cerchi descritti sopra questi semidiametri, e perciò, sot­
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              traendo ciascun antecedente dal suo conseguente, resterebbono questi nu­
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              meri 1, 3, 5, 7, che mostrerebbono la progressione del minimo cerchio e
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              delli seguenti residui o armille, che ci rappresentano i gradi acquistati dal
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              mobile continuamente ne'suddetti tempi eguali ” (Bologna 1650, ediz. 2 a,
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              pag. 95-97). </s>
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              <s>Ma non era il proposito del Cavalieri quello di trattare del moto, di cui
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              tocca incidentemente, per confermare l'utilità, che potrebbe venire alla Mec­
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              canica dall'applicarvi i metodi della nuova Geometria. </s>
              <s>Due trattati di quella
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              Scienza, della quale s'eran già ne'dialoghi Dei due massimi sistemi posti i
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              principii, apparvero contemporanei a quello pubblicato da Galileo in Leyda
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              nel 1638, e son gli Autori di que'trattati Del moto il nostro Giovan Batti­
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              sta Baliani, e l'alemanno Giovan Marco Marci. </s>
              <s>Ebbero tutt'e tre i valentuo­
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              mini meriti proprii, che i giusti estimatori riconosceranno meglio dal pro­
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              gresso della nostra Storia, la quale intanto si limita qui a dire quel che
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              avessero ciascuno di proprio o di comune intorno al modo di dimostrar la
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              legge dei moti accelerati. </s>
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              <s>Galileo, nelle due prime proposizioni del III dialogo, e nello scolio alla
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              proposizione XXIII, non segue altro metodo, che quello degl'indivisibili, e
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              perciò, repudiata la prima maniera da lui tenuta avanti al 1623, cioè quando
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              ancora non aveva avuto notizia della Geometria nuova del Cavalieri, s'at­
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              tenne a questa seconda, come quella, che, sostituendo il nuovo calcolo dif­
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              ferenziale, rendeva essa sola trattabile con precisione una parte della Mate­
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              matica, nella quale s'introducevano gl'infiniti. </s>
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              <s>E qui non si vorrebbe da noi tornare sull'odioso argomento del rim­
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              proverare l'ingratitudine, con la quale Galileo rimeritò la Geometria nuova
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              dei prestati servigi, ma non si può lasciare inavvertita una cosa, necessaria
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              a intendere quel che non intesero que'dotti uomini romani, presieduti da
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              Stefano Gradi, i quali, per levar di mezzo ogni occasione di accusa, e per </s>
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