Caverni, Raffaello, Storia del metodo sperimentale in Italia, 1891-1900

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1tempore conficiuntur lationes per EB et BF ” (MSS. Gal., P. V, T. II,
fol.
180).
Il lieto e libero progresso delle proposizioni, a questo punto, si arresta,
perchè, ripensando Galileo intorno al principio meccanico invocato nell'ul­
tima parte di questa dimostrazione, per concluderne efficacemente l'intento,
dubita se, essendo il moto del grave lungo il piano e nel perpendicolo acce­
lerato, possa legittimamente applicarsi in questo caso il teorema dei moti
equabili, che cioè, avendosi le velocità uguali, i tempi sono proporzionali agli
spazi.
Perciò, dopo la proposizione VII, ora ultimamente trascritta, rivela
così la penosa tenzione dei suoi nuovi dubbi, e la subitanea presa risolu­
zione di dare altro indirizzo ai suoi pensieri:
“ Necessariam hanc propositionem ad praecedentem existimo. Velocita­
tes mobilium, quae in aequali momento incipiunt motum, sunt semper inter
se in eadem proportione, ac si aequabili motu progrederent, ut verbi gra­
tia mobile per AC (fig.
177) incipit motum cum momento, ad momentum
368[Figure 368]
Figura 177.
per CB, ut CB ad AC.
Si aequabili motu progredere­
tur, tempus per AC, ad tempus per CB, esset ut AC
ad CB, quod in accelerato dubito quidem, et ideo de­
monstra aliter sic: ”
PROPOSITIO VIII. — “ Tempus per AC (in eadem
figura) ad tempus per CB, ex praecedentibus, est ut
linea AC, ad lineam CB.
Sed etiam ad tempus CD habet
eamdem rationem, cum CB sit media inter AC, DC; ergo
tempora CD, CB erunt aequalia ” (ibid., fol.
177).
Qui dunque si rimane questo secondo Libro, mosso con sì lieti auspici,
interrotto, e le belle meccaniche dimostrazioni, che lo componevano, son la­
sciate dall'Autore in abbandono, come farebbe l'Artefice degli elaborati or­
gani di una macchina in costruzione, la quale vuol essere riformata sopra
altro modello.
E perchè il fulcro, diciamo così di una tal macchina consi­
steva nella VII sopra scritta proposizione, soggetta ai dubbi nati intorno alla
proposizione seguente, e per le medesime ragioni; doveva la riforma inco­
minciare di lì, e in altri modi fuor dei meccanici, e con principii diversi da
quelli, che son proprii dei moti equabili, conveniva dimostrar che, in piani
ugualmente alti ma variamente inclinati, i tempi delle cadute son propor­
zionali agli spazi.
La prima difficoltà, che doveva pararsi innanzi alla mente di Galileo,
in ridur le cose alle sue intenzioni, consisteva nell'aver riconosciuto impos­
sibile a rendere i moti accelerati indipendenti dagli equabili, cosicchè non
rimaneva a far altro, per quietare i dubbi e per rendere legittime le con­
clusioni, che dimostrar come l'una qualità di moto ritorni nell'altra.
Per
far ciò, non essendo istituita ancora la Geometria degl'Indivisibili, bisognava
contentarsi alle approssimazioni, attribuendo alle piccole particelle quante
quel che non è proprio a rigore che delle infinitesime.
Siano AB (fig. 178) perpendicolare e AC inclinata comprese fra le oriz-

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