Heron Alexandrinus, Spiritali di Herone Alessandrino
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              ſuo moto in sè, mà fuori di sè; però le coſe moſſe con moto
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              violento, ſono moſſe da motore, che è fuori della coſa moſſa,
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              quale quando hà poi cominciato à mouerſi, non è tanto il mo-
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              tore che la moue, quanto l'impeto aquiſtato, ſi come il caldo
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              cagionato dal fuoco ne l'acqua, ſe bene ſi rimoue il fuoco, non-
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              dimeno coce la mano, perche l'accidente vnito con violenza
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              ritiene per qualche ſpatio la ſua forza.</s>
              <s> Il moto, e la quiete non
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              ſono contrarij, ſe non ſolo conſiderata la quiete, come priua-
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              tione, ma bene è contrario vn moto à l'altro moto.</s>
              <s> Tutto quel-
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              lo che ſi moue, ò mouaſi tutto vnitamente inſieme, ò mouaſi di
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              parte, in parte, è di neceſsità nondimeno, che habbi vna parte
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              in ſe quieſcente, di doue prenda ſuo principio il moto, & alla
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              quale appoggiata la parte mouente, poſſa poi mouere quello
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              che intende mouere.</s>
              <s> E neceſſario che la virtù, e forza del mo-
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              tore, e del quieſcente habbino vna cotale conuenienza inſie-
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              me, perche ſi come è vna certa forza, e poſſanza quella per la
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              quale ſi moue, quello che ſi moue: parimente ancora è vna ſimi-
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              le poſſanza per la quale ſtà fermo, quello che ſi dice ſtar fermo.</s>
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              Il medeſimo riſpetto che ſi conſidera che habbi vn moto verſo
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              vn'altro moto, hauerà vna quiete verſo l'altra; quiete, e pari-
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              mente in quel grado che ſi troua il moto riſpetto alla quiete, è
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              necceſſario che ſi troui la quiete riſpetto al moto, le poſſanze
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              eguali non s'imprimano vna, e l'altra, eſſendo che l'impreſsio-
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              ne auenga per il dominio, e per l'eccellenza delle forze.</s>
              <s> Il va-
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              cuo ſe ſia, ò nõ ſia, è ſtato gran cõtraſto fra gl'antichi Filoſofi:
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              perche li Pithagorici ſtimorno che fuſſe fuori del mondo, e di-
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              ceuano che il mondo in quel vacuo, e da quello haueua la com-
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              modità di reſpirare: fù ſeguitata queſta opinione anco da
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              Cleomede, onde ſi sforzò di ſtabilirla con molti ſuoi argo-
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              menti, concludendo, che quel niente, che alcuni hanno detto
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              trouarſi di là dal cielo, ſia l'iſteſſo vacuo, quale è non sò che
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              ſimpliciſsimo, incorporeo, non comprenſibile dal ſenſo, che
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              non hà, nè può riceuere figura, e non hà poſſanza di operare,
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              nè di patire: ma ſtaſsi aſſolutamente diſpoſto à riceuere il cor-
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              po: & in ſomma il vacuo ſecondo loro è quello, che può veni-
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              re riempito, ò vero abbandonato dal corpo, nelle mutationi,
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              che ſi fanno da luogo, e luogo: ma non ſi trouando (come ſi è
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