Zanotti, Francesco Maria, Della forza de' corpi che chiamano viva libri tre, 1752

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239215LIBRO II. e queſti ſcogli, e queſt’ onde appreſe l’ abbiano,
e le ripetan talvolta;
e già, non ſo come, mi
par di udire il lamentevol canto di Licida, di
cui non poſſo mai ricordarmi, ſenza che a mente
mi torni il pianto di Coridone.
Qui la Signora
Principeſſa, a me rivolta, diſſe:
laſciate pianger
Coridone, e riſpondete a quello, che il Signor
D.
Serao, e il Signor D. Niccola teſtè dicevano:
e già la vaga iſoletta, ſcorrendo oltre il naviglio,
avevamo laſciata addietro;
quando io riſpoſi: Si-
gnora, io ho già detto che ſto aſpettando, come
la continuità mi ſi dimoſtri o nella geometria, o
nella meccanica, o in tutte quelle ſcienze, che eſſi
vorranno.
Io non aſpettava già io, diſse quivi il
Signor D.
Nicola, che voi voleſte, che la conti-
nuità vi ſi dimoſtraſse nelle coſe de’ geometri;
per-
ciocchè fra quante eſſi ne conſiderano, qual n’ ha,
o ſia linea, o ſia ſuperficie, o ſia corpo, o di qual’
altra maniera voi vogliate, in cui non ſi oſſervi
una coſtante e perpetua continuità?
Qual progref-
ſione ha nelle idee dei geometri, quale andamen-
to, qual ſerie, in cui paſsandoſi da un termine
ad un’ altro, non ſi tocchino tutti i gradi, che
vi ſono frappoſti?
Così procedono le ordinate in
tutte le linee curve;
e con eſse ſi eſprimono, co-
me ſapete, e rappreſentano tutte le altre quantità.

E le curve ſteſse, ſeguendo ſempre una medeſima
legge, ritengono perpetuamente la lor natura, ne
mai ſi trasformano ſubitamente l’ una nell’ altra.

Di che ſe io voleſſi recarvi gli eſempi, prima

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