Caverni, Raffaello, Storia del metodo sperimentale in Italia, 1891-1900

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              <s>Si conferma da questa proposizione, condotta sui principii della Geome­
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              tria elementare, piuttosto che su quelli propri alle rifrazioni; come Galileo,
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              nemmen negli ultimi anni della sua vita, conobbe le teorie diottriche del Ca­
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              nocchiale, cosicchè non rimane a lui altro merito, in ordine allo strumento,
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              che di averlo applicato a veder distintamente gli oggetti grandi lontani, e i
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              piccoli sotto gli occhi. </s>
              <s>Quest'uso fatto del Microscopio, ma più specialmente
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              del Telescopio, è tanto noto, che il volgo stesso ne sa la storia, ma non sanno
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              forse, nemmeno i più informati declamatori del grand'Uomo, quel che noi
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              altrove accennammo, e che verrebbe ad accrescergli non poco questa parte
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              del merito, che cioè egli applicò il Canocchiale anche agli usi della fotome­
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              tria. </s>
              <s>Nella Lettera sul candore lunare apparisce una tale applicazion manife­
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              sta, ma in quegli ultimi anni della sua vita descriveva Galileo stesso al Vi­
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              viani la composizione del Fotometro più squisito, il primo concetto del quale
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              può vedersi espresso in questa nota: “ Drizzando due cannoni, uno verso la
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              Luna quasi piena, e l'altro verso l'occidente, subito dopo il tramontar del
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              Sole, e ricevendo sopra due carte il lume della Luna, e quello dell'aria pros­
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              sima al corpo solare, si potrà vedere quanto il lume dell'aria si mostri più
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              chiaro di quel della Luna, e, secondo che il Sole si andrà abbassando, s'in­
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              contreranno due lumi, della Luna e del crepuscolo, egualmente chiari ”
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              (MSS. Gal., P. III, T. X, fol. </s>
              <s>75). </s>
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              <s>Non sempre però le questioni, che si agitavano per la mente di Gali­
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              leo, erano intorno alle cose discorse ne'suoi propri libri, ma talvolta entra­
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              vano nel campo altrui, come per esempio in quello del Gilberto, il pensier
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              del quale, fecondo della scienza del secolo XIX, e secondo il quale le attra­
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              zioni elettriche e le magnetiche si riducevano al medesimo principio, sem­
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              brava una stoltezza al giudizio dello stesso Galileo. </s>
              <s>“ Dicere quod attractio
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              magnetis et electri sint principio simili, est idem ac dicere pinnam, dum a
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              vento agitur, ab eodem moveri principio ac avis, dum proprio nisu volat ”
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              (ivi, P. V, T. IV, fol. </s>
              <s>15). </s>
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              <s>Altre volte le proposte questioni non son risolute, cosicchè si rimangono
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              allo stato di una semplice descrizione sperimentale, e Galileo perciò si con­
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              tenta di osservare il semplice fatto, senza dirne le cause, perch'egli ancora
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              non le comprende. </s>
              <s>Tali sarebbero per esempio quelle relative alla pressione
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              ammosferica, e al vacuo lasciato dietro a sè nel muoversi i corpi velocissi­
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              mamente in mezzo all'aria, nella notizia delle quali cause era riposta la
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              <s>Figura 78.
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              scienza dei fatti seguenti: “ Accostando un dito o
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              mano alla fiamma o lume di candela o lucerna la­
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              teralmente, e distaccandola con velocità, la fiamma
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              ancora con gran velocità ti vien dietro lambendo
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              la mano ” (ivi, fol. </s>
              <s>28). Sia AB (fig. </s>
              <s>78) sifone, e
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              dalla bocca A mettasi tanta acqua, che empia la
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              parte AC: poi, turando con un dito la bocca A, l'acqua AC non scorrerà
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              mai nell'altra parte CB, in qualsivoglia modo io tenga il sifone, finchè io non
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              levo il dito ” (ivi, fol. </s>
              <s>29). </s>
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