Caverni, Raffaello, Storia del metodo sperimentale in Italia, 1891-1900

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              <s>
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              risente il lavoro in tutte le sue parti, le quali non sono nemmeno ben pro­
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              porzionate fra loro, poichè quasi due terzi del cammino vengono percorsi
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              prima di incontrare l'opera Galileiana; cosicchè si comprende quanto ina­
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              deguatamente rimanga trattata la scuola dell'immortale filosofo, della quale
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              l'autore non sospetta nemmeno i copiosi ed importanti materiali che avrebbe
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              potuto fornire al suo lavoro. </s>
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              <s>Quando finalmente avremo ancora soggiunto, che, in generale, l'autore
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              si tiene sempre ad affermare senza porgere dimostrazioni, che le questioni
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              più gravi sono trattate nel modo più superficiale che immaginar si possa,
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              e che anche i fatti più salienti, oltre ad essere assai scarsamente lumeg­
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              giati, vengono esposti, senza curare di porne in evidenza la parte essenziale,
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              cioè il nesso colla creazione, colla adozione e col progresso del metodo spe­
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              rimentale, del quale deve scriversi la storia, ci pare che non vi sia bisogno
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              di entrare in più minute analisi, per giustificare la couchiusione che in
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              nessun modo può questo lavoro aspirare al conferimento del premio. </s>
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              <s>Un indirizzo completamente diverso, e quasi diremmo opposto, ha se­
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              guito l'autore dell'altro lavoro, di proporzioni veramente colossali (sono 3264
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              pagine di grandissimo formato tutte scritte per intero), il quale vi ha posta
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              in fronte la significante terzina dantesca: </s>
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              <s>
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              “ Da questa instanzia può deliberarti
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              Esperienza, se giammai la provi
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              Ch'esser suol fonte a'rivi di vostr'arti ”.
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              <s>S'apre il lavoro con un magistrale discorso preliminare, nel quale, con
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              una robusta sintesi, tracciato un quadro di quella, che volentieri chiame­
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              remmo preistoria del metodo sperimentale, se ne mostrano i fondamenti,
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              porgendo in pari tempo il disegno di tutta l'opera. </s>
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              <s>E prendendo le mosse dal “ primo acquisto delle cognizioni ”, il nostro
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              autore ci addita in Platone ed in Aristotele i primi ed i principali che in­
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              vestigassero le leggi, secondo le quali si acquistano dall'intelletto umano e
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              si svolgono nel pensiero le cognizioni; e, mostrato il diverso indirizzo da
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              loro seguìto e la inutilità del metodo sperimentale tanto per l'uno quanto
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              per l'altro, chiarisce tuttavia come, mentre la Stagirita credeva di potere
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              supplire in ogni modo, colla ragione, all'esperienza, il fondatore dell'Acca­
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              demia venisse efficacemente avviando gli ingegni all'arte dello sperimentare,
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              preparandoveli colla geometria. </s>
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              <s>Di Grecia mostra diffondersi le dottrine dei due maestri in Italia, con
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              varia vicenda, e con Tommaso d'Aquino istituirsi la scuola peripatetica, che
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              soggiogò gli ingegni, insino a tutto il secolo XVI. </s>
              <s>Nessun vantaggio egli
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              riconosce alla scienza sperimentale da parte della schiera dei cosidetti ra­
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              zionalisti, alla quale appartennero Francesco Patrizio, Bernardino Telesio,
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              Giordano Bruno, Tommaso Campanella, poichè, se pur insorsero a scuotere </s>
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