Caverni, Raffaello, Storia del metodo sperimentale in Italia, 1891-1900

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              per dimostrar ch'era suo il metodo inverso di concluder dai dati solidi il
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              baricentro, e altre cose che si possono ora legger da noi fra le Opere rober­
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              valliane; nell'ultima epistola stampata
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              ad Torricellium.
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              Di questa epistola
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              sappiamo aver esso Dati fatto ricerca appresso il Ricci, a cui scriveva: “ Mi
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              par di sentire che m. </s>
              <s>Roberval già minacciasse di rispondere con una pie­
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              nissima lettera a quella che scrisse il Torricelli sotto il dì 7 Luglio 1646,
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              risentendosi dell'usurpato centro di gravità della Cicloide, la quale però non
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              so se mai comparisse, nulla trovando fra le scritture di esso Torricelli, nè
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              incontrando chi l'abbia veduta o sentita nominare. </s>
              <s>Onde supplico V.S.I. a
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              compiacersi, per l'amore della reputazione dell'amico e della verità, a darmi
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              non solamente notizia di questa lettera di m. </s>
              <s>Roberval, se però è nel mondo,
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              ma avendola a farmene fare una copia. </s>
              <s>” (MSS. Palatini, Raccolta Baldovi­
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              netti n.° 258, fasc. </s>
              <s>2°.) Ma nè il Ricci sapendone nulla, non potè il Dati
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              esaminar le ragioni dell'imputato, le quali imparzialmente s'esamineranno
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              ora da noi, facendo da'suoi principii derivare il processo di questa lite famosa. </s>
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              IV.
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              <s>Racconta il Torricelli come, ritrovandosi in Roma nel 1640, avesse occa­
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              sione di conoscere il padre Giovan Francesco Niceron, de'frati Minimi, va­
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              lentissimo matematico francese e pittore, con cui, anche trasferito che si fu
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              a Parigi, mantenendo esso Torricelli qualche commercio di virtuosa amicizia,
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              ciò dette opportunità di mandare al detto padre la nota di alcune sue inven­
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              zioni geometriche, proponendole semplicemente senz'alcuna dimostrazione. </s>
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              Erano fra quelle proposizioni, ridotte al numero di venti, incluse anche quelle
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              del Solido acuto iperbolico, e della quadratura della Cicloide, che richiama­
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              rono particolarmente l'attenzione del Roberval, all'esame del quale le aveva
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              il Niceron sottoposte, per mezzo del coufrate suo Marino Mersenno. </s>
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              <s>Nella ferma persuasione che non fosse la Cicloide nota altro che in Fran­
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              cia, ebbe il Roberval a maravigliarsi, ripensando in che modo fosse potuta
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              pellegrinare in Italia, e, non trovando in che altro sodisfare la sua curiosità,
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              sospettò che il Beaugrand, ne'suoi viaggi, ne avesse comunicata la notizia
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              o a Galileo o al Castelli o al Cavalieri. </s>
              <s>In ogni modo la XIV delle dette
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              proposizioni, cioè quella del solido iperbolico, gli parve tanto elegante, che
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              volle applicarvisi a dimostrarla, in che felicemente essendo riuscito, si volse
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              con lieto animo a ringraziare il Mersenno, che gli avesse fatto conoscere un
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              tant'Uomo, da non posporsi, diceva, allo stesso Archimede, e degno di esser
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              fatto conoscere al Fermat, e al Cartesio. </s>
              <s>Con queste enfatiche espressioni
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              terminava una lettera latina indirizzata allo stesso Mersenno, il quale non
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              indugiò a mandarne fedel copia a Firenze, rallegrandosi col Torricelli che
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              fosse da que'dottissimi Matematici tanto applaudito. </s>
              <s>Il Torricelli corrispose
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              con non minore ardore dell'animo, andando direttamente a ritrovare il Ro-</s>
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