Caverni, Raffaello, Storia del metodo sperimentale in Italia, 1891-1900

Page concordance

< >
< >
page |< < of 3504 > >|
    <archimedes>
      <text>
        <body>
          <chap>
            <p type="main">
              <s>
                <pb xlink:href="020/01/337.jpg" pagenum="318"/>
              e che venutogli tempo e ozio opportuno non si fosse messo veramente a
                <lb/>
              trascriver la storia del pendolo per inviarla, secondo il geloso ufficio affida­
                <lb/>
              togli, in Olanda all'Hugenio. </s>
              <s>Qual fosse poi il giudizio che dette di quella
                <lb/>
              storia e di quei disegni lo stesso Hugenio, lo vedremo quando nel 1673 tor­
                <lb/>
              nerà pubblicamente a trattar di questo argomento dell'Orologio. </s>
            </p>
            <p type="main">
              <s>Intanto giacchè abbiam sentito dire, ne'documenti sopra citati, dal prin­
                <lb/>
              cipe Leopoldo che tre anni prima del 1659 in Toscana si pensava già ad ap­
                <lb/>
              plicare il pendolo alle misure dell'ore, da un Virtuoso, che non seppe per sua
                <lb/>
              disgrazia valersi di un'invenzione, la quale ridotta a pulito avrebbe dato la
                <lb/>
              fabbrica di un Orologio più facile e più consistente di quella stessa del signor
                <lb/>
              Cristiano Hugenio; crediamo esser di grande importanza per la nostra Sto­
                <lb/>
              ria l'investigar chi fosse quel Virtuoso, e come fosse costruito quell'Orolo­
                <lb/>
              gio Toscano, inventato in quello stesso anno 1656, in cui s'inventò l'olan­
                <lb/>
              dese, conforme alle parole con cui l'Hugenio incominciò la sua Descrizione:
                <lb/>
              “ Temporis dimetiendi rationem novam quam exeunte anno 1656 escogita­
                <lb/>
              vimus.... ” (Op. </s>
              <s>Var. </s>
              <s>Lugd. </s>
              <s>Batav. </s>
              <s>1724, pag. </s>
              <s>5). Ma pure a far ciò vogliamo
                <lb/>
              differire alquanto per dire altre cose, dalle quali forse verrà a diffondersi
                <lb/>
              un po'di luce su quella via, che ci si para innanzi chiusa di nebbia. </s>
            </p>
            <p type="main">
              <s>Diciamo dunque che sebben l'Huyghens dal 1658 al 1673 non avesse
                <lb/>
              nulla d'importanza pubblicato in proposito di perfezionare gli Orologi a pen­
                <lb/>
              dolo, pure egli aveva altissime e recondite cose speculato in questi quindici
                <lb/>
              anni. </s>
              <s>A noi qui conviene far di quelle speculazioni soggetto alla nostra Sto­
                <lb/>
              ria, e vi ci vogliamo apparecchiare accennando a una curiosità, a cui pre­
                <lb/>
              sero parte gli Accademici nostri di Firenze. </s>
            </p>
            <p type="main">
              <s>Occorrendo all'Huyghens, sui principii dell'anno 1665, di fare osser­
                <lb/>
              vazioni comparative fra due Orologi a pendolo, gli teneva a tal intento appesi
                <lb/>
              a un medesimo bastone nella sua stanza, quando scoprì in essi un effetto
                <lb/>
                <emph type="italics"/>
              mirum et a nemine umquam vel cogitandum.
                <emph.end type="italics"/>
              L'effetto consisteva in una
                <lb/>
              certa segreta simpatia, nata fra'due pendoli per modo, che il vibrar dell'uno
                <lb/>
              non differiva dal vibrar dell'altro: che se anzi si turbava ad arte il loro
                <lb/>
              metro, tornavano dopo una mezz'ora a corrispondersi esattamente, come
                <lb/>
              prima. </s>
              <s>La storia diligente e minuta di così fatte nuove e curiose osserva­
                <lb/>
              zioni, fu divulgata dall'Autore stesso con una Lettera data dall'Aja il dì
                <lb/>
              25 di Febbraio 1665 (ivi, pag. </s>
              <s>213, 14), che pervenuta a notizia del prin­
                <lb/>
              cipe Leopoldo, egli stesso faceva motto del contenuto ai due principali sog­
                <lb/>
              getti della sua Accademia, al Borelli e al Viviani. </s>
              <s>Il Borelli di Pisa, il dì
                <lb/>
              13 Aprile 1665, rispondeva al Principe di non aver bene inteso “ perchè
                <lb/>
              non so, egli dice, se in quelle vibrazioni vi concorra suono unisono, oppure
                <lb/>
              sono muti. </s>
              <s>Circa il suono già è stato avvertito dal Galileo, e resone la vera
                <lb/>
              ragione ne'suoi ultimi Dialoghi delle cose che si spezzano. </s>
              <s>Ma quando non
                <lb/>
              vi sia suono, non ho ancora potuto vedere che due pendoli egualmente lun­
                <lb/>
              ghi, discostando l'uno dall'altro un braccio, le vibrazioni dell'uno si comu­
                <lb/>
              nichino all'altro a segno tale, che gli facciano fare balzi uguali; tuttavia ci
                <lb/>
              penserò meglio ” (MSS. Cim. </s>
              <s>T. XVIII, c. </s>
              <s>158). Poi, dal Principe fu avvi-</s>
            </p>
          </chap>
        </body>
      </text>
    </archimedes>