Caverni, Raffaello, Storia del metodo sperimentale in Italia, 1891-1900

Table of figures

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1rito sopra l'Olanda, non solo quanto alla priorità del concetto, ma quanto
altresì alla precedenza dell'esecuzione.
Studiamoci dunque, se ci riesce, di
farlo parlare.
La chiavetta (fig. 23) che pende legata a un nastro allacciato al colon­
nino tornito, in capo al quale riposa la cassa chiusa dell'orologio, ci dice
intanto che era impresso il moto alle ruote dall'elaterio di una molla e non
31[Figure 31]
Figura 23.
dal peso.
La figura stessa e le poche parole soggiunte a
illustrarla ci dicono di più che la mostra indicava il nu­
mero delle oscillazioni del pendolo da una infino a 15, e
il tempo di quelle stesse oscillazioni si variava a piacere
avvitandovi pendoli ora più lunghi, ora più corti.
D'onde
s'argomenta che la ruota alla quale è imperniato l'indice
doveva avere 15 denti come quell'altra mossa dal pen­
dolo.
In che modo poi questo giocasse par che possa con
non minor certezza argomentarsi da quelle parole che
dicono essere stato applicato il pendolo all'oriuolo sul­
l'andare di quello che prima di ogni altro immaginò
il Galileo. Dunque il pendolo giocava sulla ruota a denti
di sega, menando in qua e in là le due sue code, che,
ora dischiavandosi da'denti, ora urtando ne'pironi, fanno
a ogni vibrazione passare un dente alla ruota stessa.
Al­
l'ultimo la ruota mossa dalla molla poteva avere qualun­
que numero di denti, non avendo altro ufficio che di
dare impulso a quella a denti di sega, la quale dovendo
essere collocata verticalmente, per via di una ruota coro­
nata faceva volgere una lanterna e con essa l'indice
sulla mostra orizzontale.
Se quelle acetose parole messe in pratica Vincenzio
Galilei non avessero così a un tratto irritate le narici del Barone olandese,
e piuttosto che gittar via il Libro, senza più degnarsi nemmeno di guardare
il frontespizio, per assicurarsi dell'anno dell'impressione; avesse letto con
calma, si sarebbe assai facilmente persuaso che, descrivendosi ivi un orolo­
gio diverso affatto dal suo, non ci era luogo a citare il suo nome e la sua
invenzione, e che citandosi invece il nome e l'invenzione di Galileo non ve­
niva egli per niente a esser colto dall'accusa di plagio.
L'Orologio ugeniano infatti era una macchina in sè per ogni parte
compiuta e applicabile a tutti gli usi: l'orologio invece degli Accademici del
Cimento era una macchinetta costruita a solo uso di misurare le minime
frazioni del tempo ne'fisici esperimenti.
Il modo stesso dell'applicazione del
pendolo era nell'una e nell'altra costruzione molto diverso.
Si ricompone
dunque la lite dicendo competersi all'Huyghens due meriti che nessuno per
verità gli potrebbe contendere: quello di avere inventato l'orologio perfetto,
e l'altro di essere stato il primo a pubblicarlo.
Resta dall'altra parte a Ga­
lileo il merito di aver avuto di quella invenzione il primo concetto e a un

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