Caverni, Raffaello, Storia del metodo sperimentale in Italia, 1891-1900

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              diligentemente analizzato, apparisce meritevolissimo di storia; e benchè il
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              matematico bresciano non riuscisse a scoprire la legge dei moti accelerati e
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              le vere curve descritte dai proietti, apparisce nulladimeno mirabile che tanto
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              assottigliasse la geometria da costringerla a rivelargli che la massima am­
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              piezza del tiro avviene quando l'obice è inclinato all'orizzonte di 45.° </s>
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              <s>Or dunque i primi studi di Galileo il nostro autore ce li mostra ri­
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              volti ad assicurarsi dell'errore aristotelico, che teneva le velocità dei gravi
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              cadenti esser proporzionali alla quantità di materia. </s>
              <s>E,
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              yocata ad esame
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              la famosa leggenda della lampada nel Duomo di Pisa, pone m luce la sot­
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              tigliezza mirabile dell'argomentazione di Galileo, il quale pronunziò sicura­
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              mente, contro Aristotile, quel che non poteva essere confermato che dal­
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              l'uso della macchina pneumatica, che cioè i gravi nel vuoto scenderebbero
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              tutti in egual tempo, qualunque pure si fosse la loro mole e la loro materia. </s>
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              <s>Nell'investigare la legge sopra esposta, Galileo era stato preceduto da
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              altri matematici, come dal Moletti e dal Benedetti: nello studio dei moti
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              equabili pure era stato prevenuto da Archimede o dai numerosi seguaci di
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              lui. </s>
              <s>Rimaneva a scoprir la legge dei moti accelerati, tentata prima invano
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              da tutti. </s>
              <s>E Galileo vi si preparò col chiarirsi bene in mente il principio
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              d'inerzia, unico fondamento della scienza del moto. </s>
              <s>Vuole l'autor nostro che
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              il pendolo non sia stato da principio per Galileo se non uno strumento
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              sperimentatore della legge dei gravi cadenti, e che, sperimentando, siasi av­
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              veduto dell'isocrinismo delle vibrazioni di esso, del qual fatto voleva Galileo
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              stesso ritrovar la dimostrazione matematica, ma non riusciva a spuntarla;
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              nè lo spuntarla, per verità, era possibile, non potendo la matematica dimo­
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              strargli vero quel che la fisica stessa gli accennava esser falso. </s>
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              compensa di questi suoi lunghi ed ostinati studi, ebbe la scoperta del bra­
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              chistocronismo degli archi rispetto alle corde. </s>
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              <s>Da questo argomento, nel quale il nostro autore giunge a conchiusioni
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              importanti e, almeno in parte, nuove, passa a considerare la teoria dei
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              proietti, la quale, lasciata a mezzo dal Tartaglia, fu ripresa da Galileo nei
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              primi suoi studi giovanili. </s>
              <s>Ci narra come fossero incerti que'primi passi e
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              fallaci, e più tontani dal vero di quel che ne fossero gli stessi suoì prede­
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              cessori. </s>
              <s>Ripigliando il soggetto de'moti accelerati ci descrive l'esperienza
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              galileiana che condusse il suo autore ad accertarsi come veramente gli spazi
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              sono proporzionali ai quadrati dei tempi, e ci narra in che modo Galileo
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              stesso riuscisse alla dimostrazione matematica di questa nuova legge da sè
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              scoperta, ammettendo che le velocità son sempre e costantemente in ragion
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              del tempo. </s>
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              <s>Dopo la dimostrazione della legge dei moti accelerati, mostra occorsa a
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              Galileo una nuova scoperta sui proietti, la quale consisteva nell'avere ritro­
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              vato per esperienza che il proietto stesso descrive la curva in quel mede­
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              simo tempo, che abbandonato a sè, per impulso della gravità naturale,
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              avrebbe passato il perpendicolo. </s>
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              <s>Narrati così i particolari storici di questa scoperta, passa il nostro Au-</s>
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