1quod tandem in causa fuit ut ad rationes inquirendas, nec non media exco
gitanda, per quae ad consimilis Organi inventionem devenirem, me totum
converterem, quam paulo post doctrinae de refractionibus innixus assequtus
sum ” (Alb. III, 60).
gitanda, per quae ad consimilis Organi inventionem devenirem, me totum
converterem, quam paulo post doctrinae de refractionibus innixus assequtus
sum ” (Alb. III, 60).
Quegli avverbi tandem e paulo post, che si leggon qui e quel final
mente uscito dalla penna di chi scrisse la sopra citata Lettera a Benedetto
Landucci, attestano espressamente essere interceduta una certa oscitanza ed
esservi infra pposta qualche penosa difficoltà fra l'annunzio avutone e l'ese
cuzione dell'opera, mentre invece vuol far credere al Sarsi che venutogliene
il giorno in Venezia l'avviso, la sera tornato a Padova, nella notte speculò
e il giorno dopo ebbe eseguito fra le mani lo strumento.
mente uscito dalla penna di chi scrisse la sopra citata Lettera a Benedetto
Landucci, attestano espressamente essere interceduta una certa oscitanza ed
esservi infra pposta qualche penosa difficoltà fra l'annunzio avutone e l'ese
cuzione dell'opera, mentre invece vuol far credere al Sarsi che venutogliene
il giorno in Venezia l'avviso, la sera tornato a Padova, nella notte speculò
e il giorno dopo ebbe eseguito fra le mani lo strumento.
A chi crede che Galìleo fosse un uomo come tutti gli altri e non un
taumaturgo, sembrerà impossibile una così facile e pronta esecuzione, ond'è
che altrove, piuttosto che alla lettura del Saggiatore e del Nunzio Sidereo,
penserà di doversi rivolgere ognuno, il quale voglia di un punto così im
portante di storia conoscere il vero. Intorno a ciò appunto abbiamo docu
menti in alcune lettere che scriveva Giovanni Bartoli, Residente toscano in
Venezia, al Segretario di stato Belisario Vinta.
taumaturgo, sembrerà impossibile una così facile e pronta esecuzione, ond'è
che altrove, piuttosto che alla lettura del Saggiatore e del Nunzio Sidereo,
penserà di doversi rivolgere ognuno, il quale voglia di un punto così im
portante di storia conoscere il vero. Intorno a ciò appunto abbiamo docu
menti in alcune lettere che scriveva Giovanni Bartoli, Residente toscano in
Venezia, al Segretario di stato Belisario Vinta.
“ È capitato quà (son parole dello stesso Bartoli) un tale che vuol dare
in Signoria un segreto d'un occhiale o cannone o altro istrumento, col quale
si vede lontano sino a 25 o 30 miglia tanto chiaro, che dicono che pare
presente, e molti l'hanno visto e provato dal campanile di San Marco,
ma dicesi che in Francia ed altrove sia oramai volgare e che per pochi
soldi si compra, e molti dicono averne avuti e visti ” (MSS. Gal., P. III,
T. III, c. 6).
in Signoria un segreto d'un occhiale o cannone o altro istrumento, col quale
si vede lontano sino a 25 o 30 miglia tanto chiaro, che dicono che pare
presente, e molti l'hanno visto e provato dal campanile di San Marco,
ma dicesi che in Francia ed altrove sia oramai volgare e che per pochi
soldi si compra, e molti dicono averne avuti e visti ” (MSS. Gal., P. III,
T. III, c. 6).
E in altra sua così lo stesso Bartoli scrìve più al proposito nostro: “ Più
di tutti quasi ha dato da discorrere questa settimana il sig. Galileo Galilei
matematico di Padova, con l'invenzione dell'occhiale o cannone da veder
da lontano. E si racconta che quel tale forestiere che venne qua col segreto,
avendo inteso da non so chi (dicesi da fra Paolo Teologo servita) che non
farebbe qui frutto alcuno, pretendendo mille zecchini, se ne partì senza ten
tare altro, sicchè essendo amici insieme fra Paolo et il Galilei, e datogli
conto del secreto veduto, dicono che esso Galilei con la mente e con l'aiuto
di un altro simile strumento, ma non di tanto buona qualità venuto di
Francia, abbia investigato e trovato il segreto. E, messolo in atto, con l'aura
e favore di alcuni Senatori, si sia acquistato da questi Signori augumento
alle sue provvisioni sino a 10,000 fiorini l'anno, con l'obbligo però parmi
di servire nelle sue Letture perpetuamente ” (ivi).
di tutti quasi ha dato da discorrere questa settimana il sig. Galileo Galilei
matematico di Padova, con l'invenzione dell'occhiale o cannone da veder
da lontano. E si racconta che quel tale forestiere che venne qua col segreto,
avendo inteso da non so chi (dicesi da fra Paolo Teologo servita) che non
farebbe qui frutto alcuno, pretendendo mille zecchini, se ne partì senza ten
tare altro, sicchè essendo amici insieme fra Paolo et il Galilei, e datogli
conto del secreto veduto, dicono che esso Galilei con la mente e con l'aiuto
di un altro simile strumento, ma non di tanto buona qualità venuto di
Francia, abbia investigato e trovato il segreto. E, messolo in atto, con l'aura
e favore di alcuni Senatori, si sia acquistato da questi Signori augumento
alle sue provvisioni sino a 10,000 fiorini l'anno, con l'obbligo però parmi
di servire nelle sue Letture perpetuamente ” (ivi).
Ecco raccontarsi così storie che hanno faccia di vero. Galileo, il quale,
mancando della scienza delle rifrazioni, non poteva aver tanto discorso da
esser da lui solo condotto all'invenzione del Telescopio, vi giunse col ve
derne ed esaminarne uno venuto di Francia e capitato in Venezia. Cosicchè,
se avesse egli avuto la sincerità del Sirturo, avrebbe potuto ripeter le parole
stesse pronunziate da lui, dop'aver, nella bottega dell'orefice milanese, ve-
mancando della scienza delle rifrazioni, non poteva aver tanto discorso da
esser da lui solo condotto all'invenzione del Telescopio, vi giunse col ve
derne ed esaminarne uno venuto di Francia e capitato in Venezia. Cosicchè,
se avesse egli avuto la sincerità del Sirturo, avrebbe potuto ripeter le parole
stesse pronunziate da lui, dop'aver, nella bottega dell'orefice milanese, ve-