luce, onde
forse per questa ragione Averroe nel lib. de sen. et sen. disse esser propio
del vedere haver la presenza del cono lucido, cioè dell’obbietto illuminato
con questo conio luminoso. </s>
<s>La qual cosa non intendendo bene alcuni Filosofi antichi, secondo che
racconta Aristotile nel lib. </s>
<s>De sen. et sen., cap. 2, dissero ‘l vedere esser fuoco. </s>
<s>Il che appresso di esso nel med. lib. nel cap. 2 dimostra Empedocle, facendo
comparatione del fuoco del vedere, cioè della luce degli occhij al lume
racchiuso nella lanterna, come si vede ne’ suo’ versi.</s>
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<s>Seu casu quis progredi meditans lanternam preparavit</s>
<s>Ove si vede espressamente che ‘l fuoco o lo splendore compreso nella pupilla
dell’occhio è quasi un lume racchiuso nella lanterna essendo contenuto dalle
torricelle dell’occhio: e come la luce chiusa nella lanterna penetra l’osso,
il talco, o ‘l vetro e illumina il luogo oscurato dalle tenebre della notte
l’Inverno; così la
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detta luce natia dell’occhio trapassa oltre
agli altri humori, ancho l’humor aque; perciochè ancho ‘l Filosofo nel med.
luogo disse la pupilla e l’occhio esser acque per cagion degli humori che
concorreno a formarlo; ma riguardando alla luce contenuta in esso che da
Empedocle e dagli antichi è appellata fuoco, disse pur nello stesso luogo la
pupilla essere come il lume della lanterna, la quale rotta si fanno le
tenebre. </s>
<s>Onde possiamo ritrarre che quella cosa luminosa che si contiene nel conio
della vista sia ‘l lume della pupilla. </s>
<s>Quindi adunque si ritrahe lo scioglimento del dubbio che se s’apre il conio
de’ raggi visuali ha per base il cerchio, benchè spesse volte la figura
veduta sia angolare perciochè lo spazio che circonda l’obbietto è sempre di
questa figura. </s>
<s>Ma per tornare al proposito nostro diciamo pure che l’uso dell’angolo nella
prosp. si conosce per l’uso del conio, che è effetto dell’angolo, perciochè
dall’angolo prende origine. </s>
<s>E che ciò sia vero si rimiri, che tutto quel che si vede dagli occhi nostri
si vede per virtù del conio fatto da’ raggi visuali; onde, perché talvolta
ha l’angolo minore, talvolta maggiore e tal’hora ancho uguale, perciò è
cagione che l’obbietto ci apparisca tal’hora uguale, tal’hora maggiore e
talvolta minore. </s>
<s>Onde Euclide nella .5a. supposizione disse: Quelle cose che sotto maggior
angolo si veggono ci appariscono maggiori. </s>
<s>E nella .6a.: Quelle che sotto minor angolo si veggano appariscono minori. </s>
<s>E nella .7.: Quelle che sotto uguale angolo si veggano appariscono uguali. </s>