Caverni, Raffaello, Storia del metodo sperimentale in Italia, 1891-1900

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              insegna il particolare essere incluso nell'universale che lo precede,
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              l'altro, tutt'al contrario, asserisce che il particolare precede all'uni­
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              versale, il concetto di cui la mente sa formarselo da sè stessa. </s>
              <s>Ecco
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              quello che si può chiamare un indiarsi della ragione, la quale, come
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              fecondamente produce i concetti universali, per opera dialettica del­
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              l'astrazione; così dà leggi ai particolari via via che occorra di rico­
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              noscerli per la percezione de'sensi. </s>
              <s>Di qui è che il Filosofo intende
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              com'ad opera principale, a dar regole e a istituir precetti intorno
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              alla dialettica e alla rettorica, ed è riconosciuto da tutti per primo
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              inventore argutissimo del sillogismo. </s>
              <s>Che cos'è alle mani di Ari­
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              stotile il sillogismo? </s>
              <s>È un artificio lusinghiero, per cui si dà a cre­
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              dere con gran facilità che la conclusione derivi dalle premesse, non
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              per necessità logica, ma per sola opera dialettica della mente ragio­
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              natrice. </s>
              <s>Perciò egli, nell'investigare le cause de'fatti naturali aborre
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              dalla troppa semplicità: quelle cause non son vere, per lui, se non
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              quando sieno state ritrovate da'più sottili e artificiosi ragionamenti. </s>
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              Com'esempio di ciò può citarsi, dal libro delle Meteore, e da quello
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              dei Problemi, ciò che dice dell'origine delle fontane, ripudiando
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              l'opinion di coloro che riconoscevano quelle segrete origini dalli
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              stillicidii de'monti imbevuti delle nevi squagliate e delle pioggie
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              invernali. </s>
              <s>Attendendo poi bene, si trova non aver quel ripudio, nella
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              mente del Filosofo, altro motivo, se non per esser quella opinione
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              troppo ovvia e facile a ritrovar dagl'ingegni volgari. </s>
              <s>Chi svolge i
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              libri dello Stagirita s'abbatte frequentemente a trovar di ciò simili
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              altri esempi. </s>
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              <s>Platone aveva bandita aspra guerra ai sofisti, e nell'Eutidemo
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              svela i più intricati laberinti dei loro errori e gli sconfigge coll'arguta
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              ironia, che dardeggia dalle semichiuse labbra di Socrate. </s>
              <s>Nel Pro­
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              tagora poi aveva già con pari arte eloquente, confutato il sensismo,
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              conchiudendo che, se regola del nostro conoscere sono i sensi, nulla
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              è più nel mondo d'immutabile e di vero. </s>
              <s>Ma Aristotele, benchè sia
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              sollecito di rimuover da sè la taccia d'essere incorso negli errori
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              di Protagora e di Eutidemo, è nonostante di fatto più sensista del
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              primo e più sofista del secondo, non consistendo bene spesso la sua
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              dialettica in altro, che in appuntar la freccia ai sofismi, ed essendo
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              i suoi libri fisici una continuata apoteosi dei sensi. </s>
              <s>Il discepolo in­
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              somma professa apertamente dottrine, non solo diverse, ma tutt'af­
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              fatto contrarie a quelle del suo maestro, e, in ordine al proposito
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              nostro, il succedersi dell'una scuola all'altra, segna nella storia
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              delle scienze sperimentali, un notabilissimo regresso. </s>
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