concavo; che sì come afferma Ignatio
Danti sopra la quarta supp. e apparenza prima, le cose che si vedono negli
specchi non si vedano per quella linea con cui s’improntano, ma nel concorso
di detta linea e del raggio che esce dall’occhio e ciò avviene quando il
raggio non si ripiega in se stesso come si mostra da Eucl. nel 2° Teor.
perciochè in questo caso la linea dell’incidenza e della reflessione è
l’istessa, onde non vi si scorge se non l’angolo dell’incidenza. </s>
<s>Questo concorso di raggi visuali con le linee degli obbietti non si fa senza
i detti angoli ed in esso si vedano le immagini degli obbietti visibili e
però negli angoli dell’Incidenza si forma la visione di ritratti delle cose
visibili negli specchi; perciochè (come nel precedente capitolo si è
dimostrato), ciò che si vede apparisce sempre sotto qualche maniera
d’angolo; che se nell’ottica ciò si dimostra nel conio diritto, nella Prosp.
degli specchi si dimostra nel conio reflesso. </s>
<s>Ma si avvertisca che nell’ottica solamente si fa conto dell’angolo costituito
da’ raggi visuali nel centro dell’humor cristallino e nella specularia oltre
a questo si stimano ancho gli angoli formati nella superficie dello specchio
nella stremità dell’immagine dell’obbietto, là dove si forma la visione
reflessa. </s>
<s>E per intender meglio questo ripiegamento de’ ragi visuali negli specchi fa
di mestiero considerare che può dirsi che ‘raggi visuali che escono dagli
occhi e feriscono lo specchio ne’ termini del diametro dell’immagine
impressavi si ripieghino partendosi da’ punti dell’Incidenza per muoversi
tanto che gionghino all’obbietto rappresentato dell’imagine dello specchio,
acciochè si formi un conio reflesso colla forza del
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quale si
faccia la visione della detta immagine conforme alla vision dell’obbietto
reale; perciochè la base del conio che è nell’immagine impressa nelo
specchio sarà simile e proportionale alla base che si ritruovarà nello
stesso obbietto. </s>
<s>Onde si vede che i raggi visuali che fanno gli angoli dell’incidenza e della
reflessione per cagion del conio appariscono gli stessi raggi che escon
dagli occhi per formare ‘l conio diritto che la natura loro sarebbe di andar
dirittamente, ma l’incontro dello secchio gli fa piegare; che tale sia la
natura loro, si vede quando s’incontrano in un corpo lucido e trasparente
come è l’acqua che è quasi uno specchio piano in cui naturalmente i raggi
che verso la cosa rappresentata si reflettano per trarne l'’mmagine e
trasportarla nell'’cqua benchè a rivescio, si vanno dirittamente continuando
tanto che trasportino la figura dell’obbietto nella stessa perpendicolare,
come si vede nelle due dimostrationi del 7° Teor. </s>
<s>Ma si dee avvertire che’ detti raggi che si continuano nell’acqua non formano
linee perpendicolari, ma più tosto inclinate; che se facessero linee
perpendicolari si ripiegarebbero in loro stesse e non formarebbero altro
angolo che dell'incidenza e però nol farebbero Reflesso; perciochè avviene
de’ raggi del vedere non altramente che avvenga di quegli del Sole i quali
non si ripiegano sopra ‘l corpo ove perquotono se non quando non son
perpendicolari, come si vede appresso l’Autor della Prosp. </s>
<s>Comm. nella quindicesima concl. della prima parte. </s>
<s>Oltre acciò quando Eucl. nel Teor. 18° e 27° dimostra negli specchi all’hora
vedersi le immagini delle cose visibili quando concorreno i raggi che escono
dagli occhi insieme con le linee, che dalla cosa visibile si tirano; par che
accenni che l’obbietto stesso imprime la sua immagine nello spec</s>