“ Aggiustata cotal pratica in questa piccolissima distanza, pongansi i
due medesimi compagni con due simili lumi in lontananza di due o tre
miglia, e tornando di notte a far l'istessa esperienza, vadano osservando at
tentamente se le risposte delle loro scoperte e occultazioni seguono secondo
l'istesso tenore che facevano da vicino; che seguendo, si potrà assai sicu
ramente concludere l'espansion del lume essere instantanea; che quando
ella ricercasse tempo, in una lontananza di tre miglia, che importano sei,
per l'andata di un lume e venuta dall'altro, la dimora dovrebb'essere assai
osservabile ” (Alb. XIII, 46, 47).
due medesimi compagni con due simili lumi in lontananza di due o tre
miglia, e tornando di notte a far l'istessa esperienza, vadano osservando at
tentamente se le risposte delle loro scoperte e occultazioni seguono secondo
l'istesso tenore che facevano da vicino; che seguendo, si potrà assai sicu
ramente concludere l'espansion del lume essere instantanea; che quando
ella ricercasse tempo, in una lontananza di tre miglia, che importano sei,
per l'andata di un lume e venuta dall'altro, la dimora dovrebb'essere assai
osservabile ” (Alb. XIII, 46, 47).
Queste parole son nel Dialogo poste in bocca al Salviati, a cui doman
dando il Sagredo ciò che nel praticare un'invenzione non men sicura che
ingegnosa avesse concluso, il Salviati stesso risponde: “ Veramente non l'ho
sperimentata, salvo che in lontananza piccola, cioè manco d'un miglio, dal
che non ho potuto assicurarmi se veramente la comparsa del lume opposto
sia instantanea ” (ivi, pag. 47).
dando il Sagredo ciò che nel praticare un'invenzione non men sicura che
ingegnosa avesse concluso, il Salviati stesso risponde: “ Veramente non l'ho
sperimentata, salvo che in lontananza piccola, cioè manco d'un miglio, dal
che non ho potuto assicurarmi se veramente la comparsa del lume opposto
sia instantanea ” (ivi, pag. 47).
L'esperienza fu poi ripetuta dagli Accademici fiorentini, i quali, per la
lontananza di un miglio, che per l'andar di un lume e la venuta dell'altro
vuol dir due, non vi seppero trovar differenza. “ Se poi, si soggiunge nei
Saggi di Naturali esperienze, in distanza maggiore sia possibile l'arrivare
a scorgervi qualche sensibile indugio, questo non c'è per anche riuscito di
sperimentare ” (Firenze 1841, pag. 173).
lontananza di un miglio, che per l'andar di un lume e la venuta dell'altro
vuol dir due, non vi seppero trovar differenza. “ Se poi, si soggiunge nei
Saggi di Naturali esperienze, in distanza maggiore sia possibile l'arrivare
a scorgervi qualche sensibile indugio, questo non c'è per anche riuscito di
sperimentare ” (Firenze 1841, pag. 173).
Con tali brevi parole se ne spedisce il Segretario Magalotti, ma tanta
fu la sollecitudine, l'ingegno e l'industriosa varietà de'modi, con che que'tre
primi concorsi felicemente insieme nel secondo periodo della sperimentale
Accademia medica si studiarono di riuscir, benchè invano, nel difficile in
tento, che per l'onore della scienza italiana non vogliono esser taciuti nella
nostra Storia.
fu la sollecitudine, l'ingegno e l'industriosa varietà de'modi, con che que'tre
primi concorsi felicemente insieme nel secondo periodo della sperimentale
Accademia medica si studiarono di riuscir, benchè invano, nel difficile in
tento, che per l'onore della scienza italiana non vogliono esser taciuti nella
nostra Storia.
Principale fra que'tre sappiamo oramai essere stato il Viviani, il quale
ritessendo, come Galileo, fra l'Ottica e la Meccanica le sue speculazioni, così
lasciò in una nota scritto della luce: “ Un corpo mobile per un mezzo cor
poreo vuol tempo a muoversi, perchè occupandovi luogo e dovendogli ce
dere il mezzo ne lo trattiene, ed il medesimo corpo mobile per un mezzo
incorporeo, come per vacuo, non ricerca tempo, anzi vi si muove in istante,
e tutto questo dice Aristotile. Ma io soggiungo che tanto è muoversi un
corpo per un mezzo incorporeo, che un mobile incorporeo per un mezzo
corporeo, sendochè l'uno per il mezzo non si tratterrebbe, nè l'altro sa
rebbe trattenuto dal mezzo. Adunque la luce, che per Aristotile è incorpo
rea, per un mezzo corporeo qual'è l'aria passerebbe in istante, ma se si
provasse questa muoversi in tempo, ne seguirebbe che ella fosse corporea.
(MSS. Gal. Disc, T. CXXXV, c. 27).
ritessendo, come Galileo, fra l'Ottica e la Meccanica le sue speculazioni, così
lasciò in una nota scritto della luce: “ Un corpo mobile per un mezzo cor
poreo vuol tempo a muoversi, perchè occupandovi luogo e dovendogli ce
dere il mezzo ne lo trattiene, ed il medesimo corpo mobile per un mezzo
incorporeo, come per vacuo, non ricerca tempo, anzi vi si muove in istante,
e tutto questo dice Aristotile. Ma io soggiungo che tanto è muoversi un
corpo per un mezzo incorporeo, che un mobile incorporeo per un mezzo
corporeo, sendochè l'uno per il mezzo non si tratterrebbe, nè l'altro sa
rebbe trattenuto dal mezzo. Adunque la luce, che per Aristotile è incorpo
rea, per un mezzo corporeo qual'è l'aria passerebbe in istante, ma se si
provasse questa muoversi in tempo, ne seguirebbe che ella fosse corporea.
(MSS. Gal. Disc, T. CXXXV, c. 27).