1clusione. Il moto è causa della dispersion della luce: argomento poi di tal
dispersione è l'incidenza obliqua, ond'è che tra il moto retto e lo stesso
obliquo intercede sempre l'angolo, dentro cui si contermina la luce dispersa.
Suppongasi ora esser quel raggio obliquo AB (fig. 18) il moto retto AC, e
BAC l'angolo ora detto. Incontri il moto della dispersione la superficie BC
del mezzo diafano più denso. Se non facesse questo mezzo nessuno impedi
mento alla dispersione, proseguendo in D e in E, occuperebbe tutto lo spa
83[Figure 83]
dispersione è l'incidenza obliqua, ond'è che tra il moto retto e lo stesso
obliquo intercede sempre l'angolo, dentro cui si contermina la luce dispersa.
Suppongasi ora esser quel raggio obliquo AB (fig. 18) il moto retto AC, e
BAC l'angolo ora detto. Incontri il moto della dispersione la superficie BC
del mezzo diafano più denso. Se non facesse questo mezzo nessuno impedi
mento alla dispersione, proseguendo in D e in E, occuperebbe tutto lo spa
83[Figure 83]
Figura 18.
zio DE: se poi impedisse affatto quella stessa disper
sione lo spazio occupato sarebbe FE uguale a BC. Ma
non essendo nè libera nè assolutamente quella disper
sione impedita, sarà lo spazio occupato qualche cosa
di mezzo fra DE ed FE, per esempio EG. “ Lux igitur
sine ulla dispersione usque ad ED veniens, occuparet
spatium EF; eadem, sine ulla perturbatione eousque
descendens, occuparet spatium ED, spargens et exte
nuans se eadem proportione. Ergo cum intervenit me
dium BC densius id dispersionem impediens facit ut
lux medium spatium occupet inter EF et ED. Sit illud
EG. Radius ergo AB refringitur in B et infra super
ficiem densioris medii fiet BG accedens ad perpendicularem BF ” (Paralip.
ad Vitell., Francof. 1604, pag. 16).
zio DE: se poi impedisse affatto quella stessa disper
sione lo spazio occupato sarebbe FE uguale a BC. Ma
non essendo nè libera nè assolutamente quella disper
sione impedita, sarà lo spazio occupato qualche cosa
di mezzo fra DE ed FE, per esempio EG. “ Lux igitur
sine ulla dispersione usque ad ED veniens, occuparet
spatium EF; eadem, sine ulla perturbatione eousque
descendens, occuparet spatium ED, spargens et exte
nuans se eadem proportione. Ergo cum intervenit me
dium BC densius id dispersionem impediens facit ut
lux medium spatium occupet inter EF et ED. Sit illud
EG. Radius ergo AB refringitur in B et infra super
ficiem densioris medii fiet BG accedens ad perpendicularem BF ” (Paralip.
ad Vitell., Francof. 1604, pag. 16).
Benchè questa nuova argomentazione cessasse in qualche modo i difetti,
in ch'erano incorsi gli Ottici suoi predecessori, conosceva nonostante bene
il Keplero com'ella fosse tuttavia lontana da quella severità matematica, che
si sarebbe desiderata. Quel nescio quid subtile della composizione del moto
si rappresentava dall'altra parte per l'unica via geometrica da potersi se
guire con sicurezza, ma bisognava maneggiar l'argomento in altro modo da
quel che avean fatto Alhazeno e Vitellione, senza mescolarvi cioè il princi
pio delle cause intenzionali. Giacchè dunque conveniva non deviar dalle leggi
della Meccanica, il Keplero rassomiglia la luce a un proiettile, per esempio
a un globo gettato nell'acqua. Avviene perciò, egli dice, nel lume quel che
ne'mobili fisici, “ quoties globus in aquam torquetur, dummodo subeat
aquam. Patet sic; liceat enim hic mihi verba Opticorum contra mentem
ipsorum usurpare et in meliorem sensum adducere: Sit BC (nella figura
preced.) aqua. AB motus sphaerulae. Continuetur BC in H et FB in I. Cum
ergo motus sphaerulae AB sit quodammodo compositus ex IB in BH, acci
det etiam, ut resistat illi tam profunditas BF, quam BH crassities lateralis.
Prius impedimentum tardiorem efficit eius descensum et retundit, dummodo
descendat. Posterius vero repellit ipsam a sua linea, ut quia motus erat BD
futurus repellatur a BH et fiat BG ” (ibi). Supposto che la luce non pati
sca altra attenuazione che in latum e non dalla parte della rettitudine ma
dell'obliquità, il simile che ne'proietti dice il Keplero avvenir nella luce,
ond'è che il moto di lei non riceve impedimento dalla parte BC, ma dalla
parte BH. “ Ergo superficies ex parte BH resistit hinc motui existitque
in ch'erano incorsi gli Ottici suoi predecessori, conosceva nonostante bene
il Keplero com'ella fosse tuttavia lontana da quella severità matematica, che
si sarebbe desiderata. Quel nescio quid subtile della composizione del moto
si rappresentava dall'altra parte per l'unica via geometrica da potersi se
guire con sicurezza, ma bisognava maneggiar l'argomento in altro modo da
quel che avean fatto Alhazeno e Vitellione, senza mescolarvi cioè il princi
pio delle cause intenzionali. Giacchè dunque conveniva non deviar dalle leggi
della Meccanica, il Keplero rassomiglia la luce a un proiettile, per esempio
a un globo gettato nell'acqua. Avviene perciò, egli dice, nel lume quel che
ne'mobili fisici, “ quoties globus in aquam torquetur, dummodo subeat
aquam. Patet sic; liceat enim hic mihi verba Opticorum contra mentem
ipsorum usurpare et in meliorem sensum adducere: Sit BC (nella figura
preced.) aqua. AB motus sphaerulae. Continuetur BC in H et FB in I. Cum
ergo motus sphaerulae AB sit quodammodo compositus ex IB in BH, acci
det etiam, ut resistat illi tam profunditas BF, quam BH crassities lateralis.
Prius impedimentum tardiorem efficit eius descensum et retundit, dummodo
descendat. Posterius vero repellit ipsam a sua linea, ut quia motus erat BD
futurus repellatur a BH et fiat BG ” (ibi). Supposto che la luce non pati
sca altra attenuazione che in latum e non dalla parte della rettitudine ma
dell'obliquità, il simile che ne'proietti dice il Keplero avvenir nella luce,
ond'è che il moto di lei non riceve impedimento dalla parte BC, ma dalla
parte BH. “ Ergo superficies ex parte BH resistit hinc motui existitque