Caverni, Raffaello, Storia del metodo sperimentale in Italia, 1891-1900

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1Luna; prima di sentenziar che una tale opinione o non è vera o
che è in contradizione con altri detti aristotelici, premette le parole:
si licet de tanto philosopho dicere. Ritorna però l'Autore agli os­
sequi del suo maestro, ogni volta che, disceso dalle sublimità della
Geometria platonica, viene a rasentare colle ali basse la fisica pe­
ripatetica.
Egli vuol, per esempio, nel Capitolo VIII della II a Sezione dello
stesso libro degli Omocentrici, render la ragione della varietà del
diametro apparente, che presentano il Sole e la Luna, secondo che
son più presso all'orizzonte o al zenit, o secondo che si trovano
nel perigeo o nell'apogeo, e crede di dover riconoscere quella ra­
gione, come fece Galileo, negli effetti ottici prodotti dalla sfera va­
porosa dell'aria.
Ma, mentre Galileo attribuisce quegli effetti alla
maggiore o minore convessità della detta sfera, il Fracastoro invece
gli attribuiva alla maggiore o minore altezza del mezzo, professando
il principio che un diafano soprapposto a un diafano ingrandisce
sempre le specie.
Ora è chiaro che un tal principio derivava per
diretta via dalle fonti peripatetiche, o in altre parole non consisteva
altrimenti che in una ipotesi immaginaria, imperocchè, secondo fu
ritrovato poi dal medesimo Galileo, per esperienza, facilmente si
osserva che, soprainfondendo acqua ad acqua dentro un catino, la
moneta posata sul suo fondo non cresce nel diametro apparente,
anzi sembra talvolta qualche poco diminuire.
Ma ciò che più chiaramente dimostra non essersi il Fracastoro
potuto sottrarre ai perniciosi influssi della scuola peripatetica, è
quell'altro suo libro De Sympatia et anthipatia rerum, che egli
scrisse come Prodromo alla trattazione sua medica dei contagi.
E
a quel modo che egli attribuisce alla simpatia e alla antipatia le
cause fisiologiche e patologiche ne'morbi pestilenziali; così alla
simpatia e alla antipatia attribuisce pure le cause occulte delle at­
trazioni elettriche e magnetiche nei fatti naturali.
Egli è vero, non
tralascia talvolta di ricorrere all'esperienza, per assicurarsi de'fatti
più particolari di quelle attrazioni, ma com'egli mal vi riesca, si
vede nel capitolo VIII del citato libro De Sympathia. Il nostro me­
dico veronese fu de'primi, com'avvertì nell'opera sua lo stesso Gil­
berto, ad attribuire la direzione dell'ago magnetico ad alcune
montagne ferruginose, esistenti nelle regioni del polo nordico.
Ma
come anco questa non fosse, nella mente dell'Autore, altro che una
pura ipotesi peripatetica, o in altri termini, immaginaria, lo dimo­
stra ad evidenza nel capitolo ultimo quella risposta, che ivi fa a

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