Caverni, Raffaello, Storia del metodo sperimentale in Italia, 1891-1900

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              <s>In queste esperienze degli specchi e delle lenti ustorie i raggi calorifici
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              si mostrano così strettamente congiunti co'luminosi, che le questioni di Ter­
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              mologia si riducono a pure questioni di Ottica. </s>
              <s>Chi volesse perciò sapere
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              che cosa conoscessero gli antichi delle leggi della diffusione del calore nello
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              spazio, può rammemorarsi la storia della diffusion della luce. </s>
              <s>Se non che
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              sembra che debba in questo particolare farsi un'eccezione per rispetto a
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              Leonardo da Vinci, nelle note manoscritte del quale noi vediamo chiara­
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              mente dimostrata la legge dell'intensità del riscaldamento in ragion reci­
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              proca de'quadrati delle distanze. </s>
              <s>“ Il caldo del sole, che si ritroverà sulla
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              superficie dello specchio concavo, il quale calore si partirà per li razzi pi­
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              ramidali concorrenti a uno solo punto, il qual punto quanto entrerà nella
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              <s>Figura 40.
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              superficie tante volte fia più caldo del
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              caldo, che si trova sopra lo specchio,
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              e così quanto AB (fig. </s>
              <s>49) o vuoi CD
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              entra nello specchio, tante volte il
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              suo calore è più potente che quello
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              dello specchio ” (Manuscr. </s>
              <s>A, Mollien,
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              fol. </s>
              <s>20 r.). E più compendiosamente
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              altrove si legge: “ Tanto quanto la
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              punta della piramide solare tagliata in
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              qualunque parte entra nella sua base,
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              tante volte fia più calda che essa base ” (ivi, fol. </s>
              <s>54 r.). </s>
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              <s>I Maestri della scienza però non solo ignorarono questa legge della dif­
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              fusion del calore, com'avevano ignorato quella della diffusion della luce, ma
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              sopra più rimasero in dubbio se il calore stesso uniformemente si diffon­
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              desse in sfera. </s>
              <s>Anzi che i raggi calorifici non si diffondessero così, come si
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              diffondono i luminosi, Galileo si credè che servisse a dimostrarlo questa espe­
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              rienza: “ Accosti chi si voglia il dito così per fianco alla fiammella di una
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              candela accesa: certo non sentirà offendersi dal caldo, sinchè per un bre­
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              vissimo spazio non se le accosta, e che poco meno che non la tocchi. </s>
              <s>Ma
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              per l'opposito esponga la mano sopra la medesima fiammella, sentirà l'of­
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              fesa del caldo per distanza ben mille volte maggiore di quell'altra per fianco,
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              mentre l'illuminazione, che dalla medesima fiammella deriva, per tutti i
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              versi si diffonde, in cioè sù, in giù, lateralmente, ed in somma per tutto,
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              ed in gran lontananza sfericamente si distende ” (Alb. </s>
              <s>VII, 304). </s>
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              <s>Non parve agli Accademici del Cimento che questa volgare esperienza
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              addotta da Galileo fosse decisiva, e perciò ne fecero soggetto de'loro primi
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              studii come s'ha da uno de'Diarii in cui sotto il dì 10 di Settembre 1657,
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              è registrata l'esperienza C “ per riconoscere se l'espansione del caldo e del
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              freddo fosse sfericamente uniforme ” (MSS. Cim, T. II, c. </s>
              <s>263). I modi
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              d'eseguirla furono varii, uno de'quali, proposto dal Rinaldini, consisteva nel­
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              l'applicar due Termometri simili, nel medesimo momento di tempo e in di­
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              stanze uguali, uno sotto e uno sopra una palla di ferro molto ben riscaldata. </s>
              <s>
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              Era naturale che il Termometro superiore mostrasse d'aver ricevuta mag-</s>
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