Caverni, Raffaello, Storia del metodo sperimentale in Italia, 1891-1900

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1Illustre stuolo egli è questo, innanzi al quale il mondo de'Filosofi
sperimentali inchina per gran riverenza spontaneamente le ciglia.

Ebbene: di chi son discepoli tutti costoro, di Platone o di Aristo­
tele?
Non hanno maestro nessun filosofo o accademico o peripate­
tico, nè pretendono di farla da filosofi essi stessi come i razionalisti:
libro e maestro a loro è la Natura.
Dai faticosi esercizii dell'arte
si persuasero facilmente che la materia, sotto alle forme della
quale s'agita la vita dell'Universo, tutt'altro che essere arrendevole
al nostro ingegno, è sorda alle intenzioni dell'artista, ond'è che ap­
presero di qui la soggezione agli ordini naturali e impararono ad
osservarli con diligente riverenza amorosa, ministri e sacerdoti nel
sacro Tempio, e non Iddei.
Essi dunque rappresentano quel terzo
stato, in cui vedemmo passar finalmente il bambino, dopo le prime
platoniche illusioni e i primi aristotelici delirii; lo stato in cui l'uomo
incomincia, per il sincero uso de'sensi, a pigliare stabile possesso
del mondo.
Su questi che sono i naturali e legittimi iniziatori
del metodo di osservazione, giova intrattenere alquanto il nostro
discorso.
Nei primi palpiti del nostro risorgimento nazionale, quando
l'Italia si sentiva potentemente convenire in un animo solo, e in
un solo intendimento, si rivolse, con più desideroso amore che mai,
a quell'uomo di carattere fiero e generoso, che più al vivo la rap­
presentava di ogni altro Fu allora che s'incominciò a magnificare
e a superesaltare i meriti di lui, cosicchè non si lasciò indietro arte
nè scienza, di cui non si predicasse Dante per gran precursore.

Lo zelo degli animi e la leggerezza degl'ingegni hanno spinto ora­
mai l'esagerazione a tal punto, che il severo tribunale della critica
ha da sentenziar molte cose contro a loro, ed è rimasto a quel tri­
bunale il debito di ridur dentro i termini del vero ogni eccesso
inconsiderato.
Gli antichi furono, nell'ammirazione dell'Alighieri, assai più
temperati, e perchè nella temperanza consiste la verità, lo amarono
perciò e lo intesero molto meglio di noi.
Una delle prime e più
rilevanti qualità che distinguono l'ingegno dantesco è l'armonia:
armonia di numeri, che risuona nel verso, simmetria di linee, a
regola delle quali è architettato il divino Poema.
Il Landino e il
Vellutello, i due più antichi e rinomati commentatori, non trascu­
rano di avvertire come il teatro, in cui si rappresenta l'infernale
tragedia, sia stato prima così ben compassato dalla mente geome­
trica del Poeta, che tutto procede e corrisponde a una preordinata

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