Caverni, Raffaello, Storia del metodo sperimentale in Italia, 1891-1900

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              <s>
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              pesse condensare, e quasi trafugare una proposizione di scienza di­
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              mostrata, in un semplice inciso, molti si potrebbero recare esempi,
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              de'quali nonostante può bastare uno solo, che si toglie dalla t. </s>
              <s>17
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              del XII canto del Paradiso. </s>
              <s>Per la
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              lunga foga
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              i commentatori
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              tutti intendono la distanza del sole nel parallelo di longitudine,
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              ma è chiaro che dee intendersi della lunga foga del mare, per cui,
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              a cagione della convessità della superficie delle acque, si nasconde
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              la vista delle cose lontane. </s>
              <s>Ecco in due parole risoluta una que­
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              stione, che dette occasione fra'dotti di que'tempi a tante contro­
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              versie; Questione che Dante stesso trattò in Verona, il dì 20 di
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              Gennaio 1320, in una eruditissima dissertazione latina. </s>
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              <s>Del resto, se il gran Vate pieno di tutta scienza, non precorse
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              i tempi di Galileo, con nessuna importante scoperta, preparò senza
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              dubbio dalla lontana quel sicuro metodo di osservare la Natura,
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              che fu poi fecondo di ogni più bella e più nuova scoperta. </s>
              <s>Se nulla
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              scopri di nuovo nella fisiologia delle piante, pure attentamente ne
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              osservò i fiori e le foglie, e ne descrisse i moti prodotti dalla luce
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              e dal calore. </s>
              <s>Se non pose i fondamenti all'Idraulica, presentì pure
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              in qualche modo, che le acque stesse sottostavano a una legge, in
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              quel loro correre apparentemente scomposto, e se va ripetendo le
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              viete dottrine aristoteliche intorno a molti fatti di Meteorologia,
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              pur gli osserva e gli descrive, non accomodandoli alla sua propria
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              ragione, ma ricevendoli tali e quali glieli porge sotto gli occhi la
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              Natura. </s>
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              <s>Da leggere questo gran Libro della Natura, forse troppo fu
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              distratto l'Alighieri dalla lettura de'libri dei filosofi. </s>
              <s>Ma ecco suc­
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              cedere a lui un altro grande spirito italiano, a cui la Natura stessa
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              ampiamente si rivelò squadernandogli innanzi agli occhi il volume
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              del Mondo Universo. </s>
              <s>Egli è ìl gran Cristoforo Colombo, e nessuno
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              meglio dell'ardito navigator genovese potrebbe stare a lato al su­
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              blime Poeta fiorentino. </s>
              <s>Ma prima di parlar di lui, che ebbe la Na­
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              tura per solo e immediato Maestro, dobbiamo trattenerci sopra un'al­
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              tra grande figura d'uomo, a cui fu maestra la Natura stessa per
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              mezzo dell'arte. </s>
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              <s>Leon Battista Alberti è costui, nato, come l'Alighieri, d'illustre
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              e antica famiglia fiorentina e vissuto nel secolo posteriore a quello
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              del Poeta, dal 1404 al 1485. Informato alle scienze dagli insegna­
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              menti delle scuole, più forse dal proprio genio che dalle consue­
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              tudini dei tempi, fu portato da giovane a secondare i placiti della
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              Filosofia platonica, la quale sodisfaceva, meglio della peripatetica, </s>
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