Caverni, Raffaello, Storia del metodo sperimentale in Italia, 1891-1900

Page concordance

< >
< >
page |< < of 3504 > >|
    <archimedes>
      <text>
        <body>
          <chap>
            <p type="main">
              <s>
                <pb xlink:href="020/01/095.jpg" pagenum="76"/>
              naturali, attese a intendere le proprietà dell'erbe, continuando ed
                <lb/>
              osservando il moto del cielo, il corso della luna e gli andamenti
                <lb/>
              del sole ”. </s>
              <s>Anche l'Oltrocchi, bibliotecario dell'Ambrosiana, che
                <lb/>
              perciò ebbe agio di consultare i manoscritti vinciani, mentre che
                <lb/>
              ancora erano ivi esistenti, non si curò di trascriverne e di com­
                <lb/>
              mentarne, se non solo quelle parti che riguardano le arti del
                <lb/>
              disegno. </s>
            </p>
            <p type="main">
              <s>Il primo che rivolgesse l'attenzione alle preziose note, per leg­
                <lb/>
              gervi ciò che ne concerne la scienza, fu Giovan Battista Venturi,
                <lb/>
              in quel tempo che soggiornava a Parigi, dove scrisse e nel 1797
                <lb/>
              pubblicò quel suo celebre
                <emph type="italics"/>
              Essai,
                <emph.end type="italics"/>
              verso cui si rivolsero e da cui
                <lb/>
              presero l'inspirazione tutti quegli italiani, che incominciarono allora
                <lb/>
              e seguitano tuttavia a magnificare l'ingegno scientifico di Leonardo. </s>
              <s>
                <lb/>
              Il Venturi fece senza dubbio opera pia verso la patria, per cui con­
                <lb/>
              viene che gliene professiamo la gratitudine dovuta. </s>
              <s>Ma più grati ci
                <lb/>
              sentiremmo all'illustre fisico modanese, se le parole almeno ce le
                <lb/>
              avesse trascritte nella favella che risuona dolcemente ancora sul
                <lb/>
              labbro de'villici da Vinci, e più che mai grata gli sarebbe la sto­
                <lb/>
              ria, se interpretando i concetti scientifici del suo Autore, non ci
                <lb/>
              avesse inteso spesso una cosa per un'altra, o non avesse intraveduto
                <lb/>
              talvolta nelle parole espresso ciò che veramente non ci era. </s>
            </p>
            <p type="main">
              <s>Nel 1840, Guglielmo Libri apre il secondo libro della sua
                <emph type="italics"/>
              Hi­
                <lb/>
              stoire des sciences mathematiques en Italie,
                <emph.end type="italics"/>
              col trattar di Leonardo
                <lb/>
              da Vinci, i manoscritti del quale dice che non erano stati ancora
                <lb/>
              seriamente studiati. </s>
              <s>Egli poi gli descrive minutamente, e prolissa­
                <lb/>
              mente ivi si studia di annoverarne i soggetti varii toccati, e di
                <lb/>
              porre in rilievo la novità de'concetti e la importanza delle in­
                <lb/>
              venzioni. </s>
              <s>Dei quali concetti più notabili e delle quali invenzioni,
                <lb/>
              acciochè possano i lettori averne qualche saggio, trascrive alcuni
                <lb/>
              passi dai vari manoscritti e gli pon sott'occhio in quelle
                <emph type="italics"/>
              XXI Notes
                <emph.end type="italics"/>
                <lb/>
              apposte in calce al III Tomo della citata
                <emph type="italics"/>
              Histoire.
                <emph.end type="italics"/>
              Eppure si pos­
                <lb/>
              sono ancora, dop'aver letto le prime 58 pagine del
                <emph type="italics"/>
              livre second,
                <emph.end type="italics"/>
              e
                <lb/>
              le
                <emph type="italics"/>
              XXI Notes,
                <emph.end type="italics"/>
              ripetere al Libri le sue stesse parole, che egli pro­
                <lb/>
              nunziava dop'aver dato il suo giudizio sull'
                <emph type="italics"/>
              Essai
                <emph.end type="italics"/>
              del Venturi: “ Or
                <lb/>
              ces manuscrits n'ont jamais été serieusement étudiés ” (Paris 1840,
                <lb/>
              Tome III, pag. </s>
              <s>39). A studiarli seriamente poi più tardi incomin­
                <lb/>
              ciarono due stranieri, Carlo Ravaisson-Mollien a Parigi, e Giovan
                <lb/>
              Paulo Richter a Londra. </s>
              <s>Gli italiani che van buccinando il nome
                <lb/>
              di Leonardo con tuba sì sonora, non hanno dato, fin qui, opera
                <lb/>
              che a'illustrare alcuni disegni scelti dal Codice Atlantico, pub-</s>
            </p>
          </chap>
        </body>
      </text>
    </archimedes>