Gallaccini, Teofilo, Perigonia, o vero degli angoli, ca. 1590-1598

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1chio perciochè a qual fine tirar le linee dall’obbietto allo specchio, se l’obbietto non v’imprime la sua figura col mezzo di esse. Adunque l’obbietto con la forza delle linee che da esso nascono cagiona la sua figura nello specchio; Onde pare che in queste Eucl. segua l’oppinion de’ Peripatetici e in parte quella de’ Platonici, questa col mostrar che le cose che si discernano nello specchio si vedano per la forza de’ raggi visuali uscenti dagli occhi e quella col dimostrar che le linee nascono dall’obbietto. Ma se l’obbietto ha virtù d’imprimer la sua effigie negli specchi, come non harà la medesima possanza ancho negli occhi, che sono simigliantissimi agli specchi, sicome si vede per esperienza e come si ritrahe da Francesco Petrarca nella Canz. Perché la vita è breve, dove si legge:
Se non che ‘l veder voi stesse v’è tolto,
Ma quante volte a me vi rivolgete,
Adunque come l’obbietto opera nello specchio, così potrà operare negli occhi. Nello specchio principalmente e negli occhi col mezzo dello specchio. Ma si avvertisca che Eucl. non dice che le linee nascano dall’obbietto, ma che si tirano dall’obbietto, acciò si faccia ‘l detto concorso e perciò non potrà dirsi, che la veduta si faccia per ricevimento di specie insieme co’ Peripatetici. Perciochè anchorchè la vista che si fa intorno all’immagini rappresentate dagli specchi si formi col mezzo del ricevimento delle impronte di esse, contuttociò non è ‘l ricevimento considerato da Aristotile perciochè non si fa negli occhi, ma nello specchio, dove fanno angoli i raggi visuali e si congiongano con le linee degli obbietti. Perciochè in tal congiognimento si riceve la figura dell’
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obbietto
da raggi visuali.
per l’uscir che si faria da raggi visuali secondo i Platonici si cagiona la visione negli specchi perciochè non è l’uscir di essi cagion della visione, ma ‘l detto concorso de’ raggi visuali con le linee degli obbietti. Oltre acciò i raggi visuali per loro stessi giognerebbero all’obbietto se non s’incontrassero nelle linee che si partano da esso per trasportar l’immagine sua nello specchio. E però l’oppinion d’Eucl. sarà schiettamente Platonica, cioè al tutto lontana dal ricevimento dell’immagine visibile. Ma per non tralassar quel che appartiene agli specchi dirò che altri son piani, altri tondi de’ quali altri sono concavi ed altri convessi. Gli specchi tondi, o sieno convessi o concavi, sono tutti portioni di cerchi considerati nella superficie piana, in cui si figurano; ma considerati nell’esser loro non sono altro che tante portioni di corpi sferici, o concavi o convessi, non altramente che se noi tagliassemo una palla vota di vetro o di rame. Che quantunque Eucl. gli dimostri con portioni di cerchij, come si vede nel Teor. 5.6.8.11.etc. contuttociò si dee intender che le figure da lui formate nel piano della superficie non sien fatte per mostrar simplicemente le portioni de’ cerchij; ma per raffigurar sotto tali portioni i frammenti de’ corpi sferici. Sono adunque gli specchi portioni di corpi sferici e l’occhio per lo più vien collocato dentro la circonferenza loro, o nel centro o infra essa e ‘l centro, onde muovendo i raggi visuali verso lo specchio, finalmente con essi vi forma l’angolo dell’Incidenza e del Reflesso, mentre vicostituisce ‘l conio ripiegato. Gli specchi piani son quegli la cui superficie è in modo

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