Gallaccini, Teofilo, Perigonia, o vero degli angoli, ca. 1590-1598

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1apparenza si mostra un rombo dentro l’ovato prodotto dal ristregnimento de’ deferenti. Ma si avvertisca che di questo cerchio, che dal Fracastoro è appellato ovato, avviene come degli altri cerchij; che per la varia positura loro, opposti alla veduta nostra, si mostrano di figura difettuosa, come è l’ellipse o l’ovato, come si potrebbe pruovare per ragion di Prospettiva; che questo cerchio non per altro è detto cerchio ovato, se non che in apparenza si mostra ovato, come è ‘l taglio obliquo della piramide o del cilindro; ma nell’esser suo è cerchio perfetto, come gli altri della Sfera, che opposti all’occhio, dimostrano così fatta apparenza. Gli angoli finalmente servono negli aspetti triangolari, quadrati, e sestili, ne’ quali si ritruovano le proportioni armoniche, cioè tripla, sesquialtera, sesquitertia, come nelle voci si formano le consonanze: Diapente, Diatesseron, come riferisce Cesare Cesariano nel cap. primo del 1° di Vitruvio, ritrahendolo dal 2° del Quadripartito di Tolomeo. E questo basti in quanto a questa parte dell’uso degli angoli nell’Astronomia; che per hora non intendiamo dirne altro, rimettendoci in tutto a’ diligenti osservatori delle cose Celesti.
Nella Prospettiva
Cap. 13
Non è dubbio alcuno che se consideraremo bene tutte le parti della Prospettiva, o appartenghino all’ombre, dico alle scene, o a reflettimenti de’ raggi del Sole, o agli specchi, overo alle linee e raggi visuali, noi vi conosceremo tutta la forza delle pratiche e tutta l’efficacia delle dimos
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trationi nascen dalla diversa aplicatione degli angoli, la qual cosa prenderemo a dimostrare.
Ma perché ci si offerisce la parte Ottica, la quale appartiene al modo con cui si eseguisce la visione, però prima ragionaremo di questa, ma avanti si dee supporre che Euclide, essendo Filosofo Platonico, nella sua Prospettiva dimostra esser dell’oppinion del suo maestro Platone, in quanto appartiene al modo col quale si fa la visione ed è che si faccia col mezzo di raggi visuali, ch’escono dall’occhio e vanno a truovarsi l’obbietto. Il che da lui si fece chiaro quando nella prima suppositione della Prospettiva disse i raggi visuali uscir dall’occhio e andar a truovar l’obbietto. Della quale oppinione sono stati i suoi seguaci e commentatori, contro a’ quali si è mostrato Giovanni Arcivescovo di Cantauria nella prima parte della sua Prospettiva comune nella 44 e 45 conclusione, là dove disse: i matematici indarno affermare che la visione si faccia pe’ raggi che escono dall’occhio: ed esser cosa impossibile che i detti raggi uscendo dall’occhio alla cosa veduta sieno bastevoli a formar la visione *(e ‘l Cavalier Lorenzo Sirigatti nel 3° cap. del primo libro della Pratica di Prospettiva) [nota in margine]. E benchè l’oppinion d’Euclide non sia conforme alla dottrina Peripatetica, contuttociò trattandosi di Prospettiva insieme con esso non si disconverrà seguirla; quantunque secondo l’oppinion Aristotile non si mostri sconvenevole ragionarne; poiché, con altro adattamento di raggi visuali affermaremo farsi la visione, discendo che invece di uscir dal centro dell’occhio e andar afferir nell’obbietto, scaturischino dall’estremi

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