Zanotti, Francesco Maria, Della forza de' corpi che chiamano viva libri tre, 1752

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4218DELLA FORZA DE’ CORPI che ſi riduca la quiſtion tutta. Così è, diſſe il
Signor Marcheſe.
Ora, ſoggiunſi io, ſe la forza
viva altro non è, che quella potenza, la qual
produce ne corpi il movimento, chi è, che non
vegga eſſer lei la cagione del movimento, e il mo-
vimento l’ effetto di lei?
poichè dunque la cagio-
ne è fempre eguale all’ effetto, e perciò poſſono
mifurarſi amendue con una ſteſſa miſura, ne vie-
ne che la forza viva, che è la cagione del movi-
mento, debba miſurarſt moltiplicando la veloci-
tà per la maſſa;
poichè chi è, che non miſuri
il movimento per tal modo?
Tutto ciò mi par
chiaro, diſſe allora il Signor Marcheſe, ſe non
che io trovo una certa nebbia di oſcurità in un luo-
go;
et è, dove dite, che la cagione è ſempre e-
guale all’ effetto.
Il dipintore fa una pittura, et
è cagione di eſſa.
Diremo noi, che egli ſia egua-
le alla pittura, che fa?
Io vorrei dunque ſapere,
di qual modo ciò debba intenderſi.
Allora ſopra-
ſtetti alquanto, poi ripigliai.
La cagione non è,
ne ſi chiama cagione, ſe non in quanto agiſce,
et agendo produce l’ effetto;
ne altro quì ora
nella cagion ſi conſidera, ſe non tale azione;
la
quale azione egualmente appartiene e alla cagio-
ne da cui procede, e all’ effetto, in cui ſi termi-
na;
ſebbene in quanto appartiene all’ effetto, an-
zi paſſione, che azione ſuol da filoſoſi nomi-
narſi.
Ora queſta azione procedente dalla cauſa,
ſi dice eſſere ſempre eguale all’ effetto, eſtenden-
doſi per tutto là, dove ſi eſtende l’ effetto, e

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