Caverni, Raffaello, Storia del metodo sperimentale in Italia, 1891-1900

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1tissimo ritratto di quella contemplazione estatica, nella quale ve­
diamo assorto il bambino, quando prima incomincia a pigliar notizia
del mondo.
La geometria delle forme, secondo si disse, è il primo
oggetto e la prima arte della sua cognizione.
Ed ecco infatti il Filo­
sofo greco proclamare l'utilità grandissima e l'importanza, che per
l'acquisto delle verità naturali ha la geometria e la scienza dei nu­
meri in generale.
“ Questa scienza, dice egli nell'Epinomide, mentre
è la sorgente di tutti i beni non è sorgente di verun male, il che
è facile a provare.
Il numero non entra per nulla in ogni specie
di metro, dove non regna nè regime, nè ordine, nè figura, nè mi­
sura, nè armonia: in una parola, in tutto ciò che partecipa a qualche
male.
” Così par si voglia insinuar dall'Autore, che la Matematica
è tutto insieme principio di moralità, e fondamento di scienza.
A Platone succede immediatamente nell'ufficio di maestro e
nell'autorità di capo scuola, così del greco, come dell'italico incivi­
limento, un altr'uomo, che sebben sia discepolo di lui e per di­
ciassett'anni frequenti l'Accademia, professa nulladimeno dottrine
tutt'affatto diverse.
Questo è il famosissimo Aristotile, il quale, nato
in Stagira, benchè di sangue greco, piccola e ignobile città della
Tracia, risente alquanto della ruvidezza natia e della operosità del
montanaro.
Ma quella sua ruvidezza e quella operosità, che fà così
risentito contrasto colla placida contemplazione platonica, è la rap­
presentazione più viva di quella irrequietezza che vedemmo succe­
dere alle estatiche e serene centemplazioni del bambinello.
Noi giu­
dicammo quella addirittura una fase morbosa, per la quale passa
la mente nel progredire all'acquisto delle verità naturali, e la qua­
lificammo per un delirio.
Nè dubitiamo ora di qualificar similmente
per una fase morbosa e per un delirio la filosofia aristotelica, la
quale rappresenta per noi quel secondo stato, in cui si trova nella
successiva conquista delle cognizioni, la mente dell'uomo.
Per qual motivo l'irrequietezza che si osserva nel bambino, e
che vien rappresentata dalla operosità aristotelica, fu qualificata da
noi per un delirio?
Perchè così il bambino come Aristotile vor­
rebbero che la Natura si governasse a loro proprio modo, e preten­
derebbero d'imporre piuttosto che assoggettarsi alle leggi di lei.

Tale appunto è il carattere, di che s'impronta la filosofia naturale
del famosissimo Stagirita.
Mentre che Platone conclude le prime
e più universali notizie delle cose derivare da tutt'altra fonte che
dai sensi, esce invece il discepolo a sentenziare nulla essere nel­
l'intelletto che non sia prima stato nel senso, per cui se il primo

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