Caverni, Raffaello, Storia del metodo sperimentale in Italia, 1891-1900

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1vedrebbe impresso il sigillo del Peripato, e nell'altro quello del­
l'Accademia.
Delle due influenti scuole prima a introdursi in Italia e di li
per tutta l'Europa, fu la Platonica.
Le tradizioni pitagoriche dovet­
tero, senza dubbio, concorrere a tal preferenza, ma ben più facil­
mente vi concorsero l'indole e il genio scientifico dei Romani
scolpitamente rappresentato da Cicerone.
Basta leggere il Trattato
Delle Leggi e il libro dell'Oratore del filosofo romano, per ricono­
scervi l'inspirazione diretta e immediata del Trattato delle Leggi e
del Fedro del filosofo greco.
La politica e la morale erano princi­
palmente le due scienze, che premeva di coltivare a quel popolo,
il quale deve alla disciplina degli animi, da cui provennero i sa­
pienti ordinamenti civili, la sua propria grandezza.
Dedito alla vita
attiva, piuttosto che alla contemplativa, della Geometria non si curò
gran fatto.
Nella filosofia naturale però fece quell'operoso popolo
romano di notabili progressi, intanto che, a qualche concetto che
si rivela dai versi di Lucrezio Caro, all'invenzione di alcuni stru­
menti descritti da Vitruvio, a parecchie questioni risolute da Seneca,
e a certe teorie intravedute da Frontino, si riappiccano propriamente
le tradizioni intercise del risorto metodo sperimentale.
È però vero
che una tal messe di fisiche verità non fu e non poteva esser rac­
colta dagli orti dell'Accademia: essa fu, come si vedrà meglio tra
poco in altri esempi, frutto di una sapienza che non sarebbe po­
tuta derivar da nessuna scuola.
L'istituzione del Cristianesimo, dopo i tempi di Augusto, rin­
novellò la vita del popolo romano, ma in questa profonda innova­
zione una cosa rimane immutabile, l'impero di Roma, che dalle
mani della Politica passa a quelle della Religione.
Roma è ancora,
passato lo splendore dei Cesari, e forse con più vivo senso di prima,
capo e cuore del mondo.
Da essa fluisce la civiltà come sangue
dalla grande arteria, e ad essa, come per condotto di vene, conti­
nuamente ritorna.
A Cicerone sottentrano, nell'ufficio di oratori,
Minuzio Felice, Basilio Magno, Agostino, i quali o sien nati sul
Tevere, o sui lidi dell'Ellesponto, o non lungi dalle rive del Nilo,
son tutti pure, in una mente e in un cuore, ugualmente romani.

La nuova arte oratoria però è varia, perchè varii ne sono i fini, ma
non per questo manco nobili e generose ne sono le intenzioni.
Essi
vogliono persuadere agli adoratori de'falsi dèi l'esistenza di un Dio
unico, Creatore e Conservatore del mondo, e sentono che il vero
modo a illuminar quelle menti è di accender ne'loro cuori il calor

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