Caverni, Raffaello, Storia del metodo sperimentale in Italia, 1891-1900

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              <s>
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              dell'esperienza, ed essendo, anche per le grandi città, così fatte torri assai
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              rare, avrebbe dovuto Galileo nominar quella, ch'ei trovò meglio accomodata
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              al bisogno. </s>
              <s>Pure, non passando per la mente al Riccioli il possibile uso dei
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              piani inclinati, non seppe rimoversi dal suo primo supposto, che cioè fossero
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              quelle galileiane osservazioni fatte nelle cadute perpendicolari, le quali, per­
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              ciocchè sembravano men difficili a contrassegnar lungo il muro della torre
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              secondo i vari intervalli, di quel che non fosse difficile aggiustar le lun­
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              ghezze ai pendoli; al tempo di questi, “ non exacto ad primi mobilis tem­
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              pus, et fixarum transitum per medinm coeli ” (ibid.), volle esso Riccioli at­
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              tribuir piuttosto gli sbagli nelle esperienze di Galileo. </s>
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              <s>I dialoghi Delle due nuove scienze, attentamente considerati, avrebbero
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              potuto servire all'Autore dell'Almagesto nuovo di commento, per fargli in­
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              tendere perchè Galileo non nominasse la torre, che non era necessaria, e
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              come si potesse con facilità, e senza punto pregiudicare alla precisione delle
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              esperienze, far uso di una palla di cento libbre. </s>
              <s>Avrebbe congetturato in­
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              somma che quella palla di ferro si faceva, in una comoda stanza a pian ter­
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              reno, su un lungo regolo leggermente inclinato, risalir, per poi lasciarla
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              scendere, con tal debole impulso, da non eccedere, benchè così grave di cento
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              libbre, le forze muscolari di un Filosofo. </s>
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              <s>Dal tempo delle scese del grave lungo il piano inclinato si poteva ar­
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              gomentare il tempo della scesa nel perpendicolo, o per via del teorema terzo
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              del terzo dialogo Delle due nuove scienze (Alb. </s>
              <s>XIII, 179) o anche meglio,
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              per via di un altro teorema, che, sebben non si trovi fra gli altri dimo­
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              strato nel dialogo ora detto, formulavasi così dallo stesso Galileo nel suo
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              primo trattato manoscritto: “ Si ex eodem puncto horizontis ducatur per­
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              pendiculus et planum inclinatum, et in plano inclinato sumatur quodlibet
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              punctum, a quo in plano perpendicularis linea usque ad perpendiculum pro­
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              trahatur; lationes in parte perpendiculi, inter horizontem
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              et occursum perpendicularis intercepta, et in parte plani
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              inclinati inter eamdem perpendicularem et horizontalem
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              intercepta, eodem tempore absolvuntur ” (MSS. Gal., P. V,
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              T. II, fol. </s>
              <s>180). </s>
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              <s>S'immagini essere AC (fig. </s>
              <s>139) la lunghezza del de­
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              clivio sul quale sia stato trovato scendere un grave in un
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              <s>Figura 139.
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              tempo già misurato: per sapere a qual punto, pur par­
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              tendosi da C, sarebbe lo stesso grave sceso nel perpendi­
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              colo in quel medesimo tempo, “ tirate, insegna così a fare
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              il Salviati al Sagredo, da A la perpendicolare sopra la CA,
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              prolungando essa e la CB fino al concorso in D: quello
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              sarà il punto cercato ” (Alb. </s>
              <s>I, 32). </s>
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              <s>Questo solo senz'altro sarebbe stato sufficiente per computare il tempo,
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              che spenderebbe una palla di artiglieria a scendere infino a noi dal mondo
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              della Luna, ma Galileo, per pigliare a fondamento della sua costruzione un
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              dato sperimentale più specioso, volle ridurre la distanza DC alle cento brac-</s>
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