Morelli, Gregorio, Scala di tutte le scienze et arti, 1567

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1ſe gli farebbe egli torto? hauendolo noi piglia
to per noſtra guida inſieme con Ariſtotele?
TOM. Sta bene, & dapoi che non l'hauete
detto uoi, dico io che in quello iſteßo luogo
egli dice che il fine ſi può chiamare intentione

ſuggetto, & utilità.
ilche fa molto a propo­
ſito per la diuiſione de i fini, percioche per il
ſuggetto potemo intendere noi l'opera, per
l'intentione le operationi, & per l'utilità quel
lo che non è, ne il primo, ne il ſecondo, ma
un'altro fine.
Hor accioche le gia tre diffe­
renze propoſte da uoi, & confirmate da me,
paiono naſcere dalla diffinitione, ueggiamo
come la diffinitione del fine conuenga alle ope

rationi.
Nella retorica il fine è la operatio­
ne, che è l'ottimamente orare; all'ottimo ora
re ſono ordinate tutte le parti della oratione,
che è la bella inuentione, la bella diſpoſitione,
con l'appropriata eloquenza, & altrc che
non occorre di raccontarle in queſto luogo.
Ecco adunque che tutte queſte coſe ſono ordi­
nate alla operatione, che è il bene orare, &
il bene orare non ſi riferiſce ad altri.
Conuie
ne anco la diffinitione all'opera, come allo edi
ficio: perche tutte le coſe, che ſono procedute
auanti allo edificio, ſi riferiſcono ad eſſo edi­
ficio, ne eſſo ſi riferiſce ad altri, conſiderato
però come fine del muratore, non dico dell ar-

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