Zanotti, Francesco Maria, Della forza de' corpi che chiamano viva libri tre, 1752

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12viii matematici ſteſſi, eziandio i più auſteri, e di-
ciam pure, i più ſalvatichi, e rozzi, conſidere-
ranno bene quello, ch’ e’ fanno nelle loro ſcuole,
troveranno, che ridicono eſſi ancora le medeſime
coſe più volte, e interrogano, e ſi laſciano inter-
rogare;
e per renderſi attenti gli uditori commen-
dano le coſe, che vogliono inſegnare;
e perchè ſie-
no più dilettevoli, le ſpargon talvolta di leggia-
dri motti;
il che ſe fanno con giudicio, e con pru-
denza, ſono eloquenti ſenza avvederſene.
E ſe cosi
fatti artificj uſano eſſi inſegnando nelle loro ſcuo-
le, perchè non debbon ſoffrire, che ſi uſino ſcriven-
do?
Oltreche a ſpiegar le quiftioni alquanto ſot-
tili, e difficili, chi è che non abbia ſtimata ſempre
comodiſſima la forma del dialogo?
la qual però ſa-
rebbe inutile, ſe doveßer levarſene tutti quegli
artificj, che ritardando la diſputa, la rendon tut-
tavia molto più chiara, e più gioconda.
Dee dun-
que eßer lecito in un dialogo trattener le quiſtioni
acciocchè non vadano cosi ſubito alle loro ul-
time conſeguenze, ma aſpettino fino a tanto, che
ſi ſieno abbellite, et ornate.
Al che certamente mol-
ta, e lunga opera ſi richiede.
Perchè io ſentj già
dire a un ſavio uomo, e nelle lettere grandemente
verſato, che il dialogo dee avere in ſe tutte le
bellezze della commedia, con queſta differenza ſo-
la, che dove nella commedia ſi intrecciano varie
avventure, nel dialogo ſi intrecciano diſpute e ra-
gionamenti;
ne dee però l’ intrecciamento di queſti
nel dialogo eſſere men veriſimile, ne meno

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